Doom. Una parola così corta, così veloce da pronunciare, ma allo stesso tempo così densa e profonda…
Converrete con me che così come nel death metal non basta cantare in growl per entrare di forza nel genere, nel doom metal non basta rallentare al massimo la cadenza delle battute per meritarsi l’etichetta.
Se la percentuale delle band che si cimentano con questa materia è di per sé esigua, ancor di più lo è la quella delle band che riescono a produrre delle canzoni con l’iniziale maiuscola, capaci di rinnovare e dare linfa vitale ad un genere in cui i margini di manovra sono strettissimi.
Chi già conosce, anche solo di nome, i britannici
Esoteric (ora rimasti in una line-up a quattro elementi) sa che può andare a colpo sicuro in ambito funeral-doom.
Per loro parla una carriera pluriennale fatta di lavori emotivamente e tecnicamente impeccabili in cui è davvero difficile trovare dei difetti se non peccatucci veniali.
Il doppio cd che forma il presente “Paragon of dissonance” (la loro seconda uscita per la Season of Mist) si aggiunge quale ultimo tassello alla loro discografia a distanza di tre anni dall’uscita del pluri-acclamato “The maniacal vale”, ed è costituito da sette brani per un totale di oltre una ora e mezza di musica che, come intuirete, non è di facilissima assimilazione.
La bravura degli Esoteric, ma non lo scopriamo oggi, sta nel loro esser capaci di ricreare trame musicali capaci di raggiungere le pure emozioni e “Paragon of dissonance” in questo senso si accomuna ai fortunati predecessori.
Ecco quindi mostrarsi il volto della disperazione più cupa (vedi come esempio l’opener “Abandonment”), delle suggestioni eteree di stampo psichedelico (vedi diversi passaggi in “Cipher”e la conclusiva “Torrent of ills”) senza tralasciare di raggiungere i picchi della malinconia più dolorosa come in “Disconsolate”, brano a cui non è inopportuno l’uso del termine “capolavoro”.
A livello tecnico si nota come le linee melodiche di “Paragon of dissonance” giochino a rincorrersi per tutto il disco con quelle più pesanti.
I due elementi, apparentemente in antitesi l’uno dell’altro, si raggiungono, si superano e si avvolgono più volte creando una alchimia tale da rendere ogni brano completo in ogni suo aspetto.
“Paragon of dissonance” non è l’album della maturità degli Inglesi, è un lavoro maturo e basta destinato a chi non si lascia abbagliare dai lustrini di turno, a chi cerca la sostanza e a chi vuole musica da ascoltare e riascoltare nel tempo.
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