Nuova creatura nel metal italiano quella dei
The Ritual, giunti al debutto su
Bakerteam Records (una neonata costola della
Scarlet) dopo un paio di promo che avevano fatto ben parlare di loro; "
Beyond the Fragile Horizon" è il nome del primo full length di questa band, descritta nella nota introduttiva come "
The new Power/Thrash Metal sensation of the year", definizione un po' bombastica com'è ovvio che sia, sebbene di thrash ce ne sia abbastanza poco a favore di una componente heavy classic e power molto più preponderante.
Tra i nomi già noti troviamo alle chitarre quello di
Marco Pastorino, già alle prese tra gli altri con i
Secret Sphere, mentre gli altri non me ne vogliano ma non li avevo mai sentiti nominare; poco male dato che
Marco Obice, alla voce, è una delle note più liete di questo disco, insieme alla prova tecnica individuale dei nostri e la scintillante produzione; al contrario, tra i punti deboli da segnalare c'è la presenza di alcun brani davvero poco convincenti, a causa di una componente melodica o abusata o troppo banale e qui tiro in ballo "
Jason on the River" che sembra composta da una band entrata in sala prove da un quarto d'ora (il chorus mette i brividi, e non in senso positivo), o da una commistione di generi e situazioni ancora un po' troppo approssimativa e poco limata.
L'impressione che se ne ricava è che "Beyond the Fragile Horizon" sia un disco di una band ancora acerba, che nelle "sfuriate" thrash, seppure brevi, non convince assolutamente (vedi l'inizio di "
Hysteria & Madness") e che deve migliorare nelle parti più sfacciatamente power, facendo quello che è storicamente più complicato, ovvero indovinare delle linee vocali allo stesso tempo assolutamente trascinanti e non banali; intelligentemente il brano più indovinato a nome "
Show Me What You Can Do" viene posto appena dopo la breve intro come opener, e forse è proprio quella la direzione verso la quale i The Ritual devono indirizzarsi maggiormente.
Il resto dell'album viaggia alternandosi, anche all'interno degli stessi brani, su cose più o meno riuscite, tra echi labyrinthiani come la bella "
Without" o riuscitissime contaminazioni progressive come nel finale della convulsa "
The Liar" (sono pazzo, mi hanno ricordato i Control Denied), consegnando al lavoro finale un giudizio positivo ma non ancora abbastanza per potersi segnalare nel mare magnum delle migliaia di uscite discografiche attuali.
In ogni caso di "materiale grezzo" su cui lavorare sopra ce n'è in abbondanza, sebbene non sia detto che i prossimi dischi escano col buco; qui la ciambella è uscita a metà ma non è detto che un morso vi possa dare più di una soddisfazione. Speriamo di risentirli presto, migliorati.
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