Tornano i tirolesi
Desert Sin, ancora una volta accasati presso la Pure Steel Records. Questo loro secondo “
Destination Paradise” conferma, purtroppo, tutto quanto già mostrato nel precedente “
The Edge of Horizon”. Ci troviamo di fronte, infatti, ad un heavy metal di derivazione priestiana, ben suonato e prodotto discretamente, ma che non ha un briciolo di originalità, che non stuzzica, che piaciucchia ma che non esalta. Un album come ce ne potrebbero essere (e ce ne sono) altri centomila, che si ascolta facilmente ma che non lascia traccia nelle orecchie dopo poco. Le nove tracce (più intro acustica, come da cliché trio e ritrito) tendono a preferire il mid-tempo, preferendo puntare sulla potenza del riffing, ma sarà anche la voce di Sandro Holzer, potente e non altissima, o il fatto che “Destination Paradise” manca di riffs particolarmente ispirati, che l’album, alla lunga, tende a ‘sedersi’, portando l’ascoltatore a distrarsi facilmente. Fare un track-by-track, in dischi come questo, sarebbe un'impresa titanica, visto che i pezzi tendono a fondersi l'uno nell'altro. A parere di chi scrive dunque, disco evitabile, non brutto ma evitabile.