Secondo capitolo discografico per
The 11th Hour, sorta di “one-man band” ad opera del batterista Ed Warby (Gorefest, Demiurg, Ayreon, ecc.). Qui l’eclettico musicista suona tutti gli strumenti e canta, con voce ricca di vibrazioni nostalgiche che ricorda l’acclamato Rob Lowe (Candlemass, Solitude Aeturnus). In effetti il sofisticato doom metal di questo album possiede sia il caratteristico tocco epico della formazione svedese, sia la malinconica sofferenza, ad esempio, dei Paradise Lost.
Ma i lunghi brani, tutti compresi tra i sette e gli otto minuti, rivelano la personalità dell’autore, capace di coniugare perfettamente i lenti e pesanti riff con le magnifiche atmosfere a tratti molto tristi ed autunnali. L’opprimente oscurità che traspare dal lavoro resta lontana dalla tediosa monotonia grazie a dosati mid-tempo e all’uso non invadente di tastiere, piano, violino, che producono ottime sfumature anche dove i colori si riducono al nero del dolore ed al grigio della disperazione. Inoltre c’è il parco contributo di Pim Blankenstein (Officium Triste), il quale mette a disposizione il suo maligno growl per formare un contrasto col canto pulito e quasi sognante di Welby.
Chiaramente il disco punta con decisione sul fascino gelido e funereo del suo insieme, anziché alla singolarità delle canzoni. Comunque, si può sottolineare il mood uggioso di “Rain on me”, così come l’incedere austero dell’articolata “Tears of the bereaved”, ma i brani sono effettivamente molto vicini tra loro come struttura.
Forse è tale uniformità, pur di ottimo livello, a negare quel pizzico di maggiore brillantezza al lavoro di Warby. Se vi piace il doom dal taglio metallico con grande impatto emozionale, sul genere di Isole, Argus, Hour of 13, ecc, questo disco merita la vostra attenzione.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?