A quasi cinque anni da “Healing through fire” esce il nuovo, settimo album degli
Orange Goblin, pionieri britannici dell’heavy rock/stoner.
Il gruppo guidato dal frontman Ben Ward, oltre a prendersi questa lunga pausa discografica ha anche cambiato etichetta, passando alla Candlelight Records. L’effetto è stato positivo, visto che il lavoro è senz’altro ispirato pur confermando la linea stilistica ormai consolidata del quartetto.
Le vibrazioni liquide e psichedeliche dei lontani esordi, sono sparite da tempo. Gli O.G. ora sono una potente band che esprime un rock d’assalto pieno di groove, con qualche concessione alle tonalità cupe figlie dei Black Sabbath e refrain anthemici dal sapore seventies. Nel disco convivono i brani energici, dai risvolti metal, che ormai sono tradizione del gruppo, ad esempio “Red tide rising”, “Acid trial” e “Return to Mars”, insieme a quelli marcatamente bluesy e doomeggianti, vedi la bella “Save me from myself” che vede la presenza dell’ospite Graig Riggs, voce dei rocciosi Roadsaw.
Altri momenti notevoli sono la turbinosa “Death of Aquarius” con la chitarra di Hoare sugli scudi, ed ancora la conclusiva title-track, sicuramente il pezzo più vicino ai primi lavori per la sua atmosfera sospesa tra pulsioni heavy e toni sfumati e lisergici.
Stavolta il bravo chitarrista è stato un po’ avaro di solismi, per me una delle poche note negative, ma in compenso nessuna canzone pare un semplice riempitivo. Anzi, il disco scorre liscio e regala una sensazione di freschezza, encomiabile per una formazione attiva da oltre quindici anni. Un bel segnale per tutti i fans, la prova che il quartetto inglese merita ancora un posto di rilievo nell’odierno panorama heavy rock.
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