I don't have to believe you.
I don't care if you are innocent.
I'm your mother, your father, your priest.
Al loro nono studio album, non saranno spietate quanto si era rivelato Roy/Aaron (un fantastico Edward Norton) nel finale del film intitolato proprio "Primal Fear" (da noi uscito però come "Schegge di Paura"), ma le canzoni di questa ormai rodata formazione tedesca non sono certo meno taglienti.
Messe le mani su "Unbreakable", dopo la
solita copertina dall'elevato tasso metallico, la seconda cosa che balza all'occhio è la line-up che ha suonato sull'album, visto che scopriamo un nuovo (l'ennesimo!) assortimento di axemen, anche se è subito evidente come si tratti di due musicisti tanto abili quanto scafati, quali sono, infatti, Magnus Karlsson e Alex Beyrodt.
Dietro alla batteria è confermata la presenza di Randy Black, ma la mente ed il cuore pulsante dei
Primal Fear restano sempre Ralf Scheepers e Mat Sinner, due musicisti che continuano a mantenere stabile e coerente l'identità che hanno dato alla loro creatura sin dal 1998, quando esordirono con "Primal Fear".
La titletrack, o meglio la sua prima parte, è un'introduzione orchestrale, ma i vari suonatori vengono ben presto annichiliti ed i loro spartiti sparsi al vento dall'urto Hard & Metal di una "Strike" che inevitabilmente rinnova l'ormai annoso paragone con i Judas Priest, anche se poi negli assoli sono ben evidenti i natali teutonici del gruppo, visto che strizzano l'occhio più a Helloween ed Accept che alla formazione di Birmingham. Il duo Karlsson & Beyrodt fa poi sfracelli anche sulla potentissima "Give 'Em Hell", sulla marziale ed anthemica "Bad Guys Wear Black" e nella spedita "And There Was Silence", quanto basta per ribadire come la scelta di puntare su di loro sia stata vincente, confermandosi in grado di dare un apprezzabile tocco in più al repertorio dei Primal Fear.
A dispetto delle tante conferme messe in campo, non si incappa mai in vere e proprie sorprese, infatti, non possiamo considerare tali né le melodie accattivanti del mid-tempo "Metal Nation" o il pathos che Scheepers sa donare all'epica e teatrale "Where Angels Die", ma nemmeno vedere la titletrack (ok... part 2) piazzata strategicamente a ruota in modo da spingerci nuovamente a scuotere la testa e battere il piedino dopo due (ottime) canzoni maggiormente ragionate. "Marching Again" riesce comunque nella non facile impresa di riunire questi due aspetti dei Primal Fear, anche se poi ascoltandola è inevitabile finire con il rivolgere almeno un pensiero ai Gamma Ray.
Cos'è mancato all'appello sinora? Già la
ballad… ed ecco che "Born Again" risponde alla chiamata, un lento senza infamia e senza lode, utile a mettere in risalto - sempre che ce ne fosse davvero ancora bisogno - la bravura di Ralf Scheepers. Quindi, come era facile immaginare, nei due brani successivi, quelli che hanno anche il compito di chiudere l'album, si torna a spingere sui ritmi e con un approccio spiccatamente Heavy Metal.
And There Was ... Primal FearPer quando su "Unbreakable" siano visibili diversi cambiamenti, questi non snaturano affatto il sound dei Primal Fear, che nell'occasione sembrano aver optato per una scelta
facile e dato vita ad un lavoro, tutto sommato, allineato alle loro precedenti uscite,
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...