Che prima o poi un musicista di nome “Wagner” finisse a suonare con un’orchestra lo si poteva pure immaginare. Che dall’incontro tra i due venisse fuori una piccola gemma, invece, scontato non lo era per niente. Complice il talentuoso Christian Wolff, ideatore oltre che arrangiatore del progetto, questo breve (poco più di 40 minuti, inclusa la versione strumentale di un brano proposto anche cantato) e riuscito esperimento ha dato ai
Rage la possibilità di creare a tutti gli effetti una band parallela che negli anni ha avuto diversi nomi (il più recente “Lingua Mortis Orchestra”) e ha sfornato un considerevole numero di dischi (“XIII” e “Speak of the Dead” per citare i più memorabili) in collaborazione con diverse orchestre europee. “Lingua Mortis” è, in sintesi, un disco di
cover dei Rage ri-arrangiate per band e orchestra.
L’idea in sé, a dire il vero, non è particolarmente originale, tant’è che dalla fine degli anni Sessanta ad oggi si contano innumerevoli progetti di questo tipo (chi non ricorda, con un po’ di commozione, il “Concerto for Group and Orchestra” di Jon Lord con i Deep Purple?). L’elemento vincente di questa specifica operazione sta però nel “non aver voluto strafare”: come si vede dal retro copertina l’orchestra è limitata a un buon numero di archi, qualche percussione, due corni e due oboi. Fine. Questo disco dimostra che, a volte,
less is more: l’equilibrio che si viene a creare tra il quartetto e l’orchestra è invidiabile, e mi sento di consigliare un “ripassino” ad alcune band teutoniche che non menzionerò (chi ha orecchie per intendere…). L’unica pecca di questo disco sta nella produzione, oggettivamente modesta (probabilmente per il budget ridotto, la
fu GUN RECORDS, tedesca scopritrice di talenti, non viene ricordata per investimenti “faraonici” sui propri artisti), che non fa brillare niente e nessuno ma lascia solo intuire tutto il buono di cui sopra. Insieme al meno noto “Death Metal Symphony in Deep C” dei Waltari, dello stesso anno, “Lingua Mortis” è stato il primo di una serie di album più o meno riusciti (chi ha detto “S&M”?) di questo tipo, per cui storicamente ha un suo peso specifico. Sicuramente da riscoprire.
A cura di Gabriele Marangoni
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