In pochi si sono accorti che questi Humbucker non spuntano dal nebbioso sottobosco dei dilettanti allo sbaraglio, ma sono in realtà un progetto di Ron Leard, bassista dei Penance e musicista di lungo corso, il quale ha messo momentaneamente da parte i severi scenari doomeggianti della sua band principale per cimentarsi in uno stile elegante ed alquanto riflessivo, che occhieggia da un lato allo stoner più cerebrale e levigato e dall’altro alle malinconie autunnali del post-grunge.
Un disco che non cerca di assaltare né di aggredire, giocando invece la carta del fascino di avvolgenti atmosfere elettroacustiche ricche di spirito sofferto ed umbratile, vedi “Saintly addiction” o la raffinata disperazione di “Cold world scene”, altrimenti di temi agrodolci in squisito bilanciamento tra esplosioni di energia rock e matura tensione emotiva, in questo spiccano canzoni dal taglio hard piuttosto classico come “Searchin” o la morbida e notturna “Life echoes”.
La band del Maryland ha posto notevole cura in certe melodie ariose e gentili quali “Fallen angel” o “New year’s song”, che tra incedere trasognato e piccole pennellate liquide risultano piacevoli ed ideali da gustarsi in solitudine a mente sgombra, per un relax rinfrancante ed intelligente.
Gli Humbucker infatti si muovono nella zona di confine dove agiscono formazioni più posate che muscolari, gente che predilige un profilo tranquillo e meditativo all’irruenza istintiva e cieca. Mi vengono in mente nomi come The Last Drop, Post Stardom Depression, Elephantum, scarsamente popolari proprio causa la trasversalità della proposta e l’indirizzo chiaramente adulto del loro rock.
Forse in questo caso Ron Leard, autore di quasi tutti i brani, ha un po’ peccato di eccessiva introspezione insistendo sin troppo sui toni sfumati e seriosi. Non mancano episodi tesi e solari come “Nowhere dreams” o “Sound around me”, neppure un ottimo doom spirituale come “Melancholy kaleidoscope” che si riallaccia in parte alle tematiche dei Penance ma anche alle ultime cose del guru Weinrich, però lo svolgimento complessivo è sicuramente molto soft e di alta richiesta sotto il profilo dell’attenzione e della sfera emozionale.
Adeguandomi ai toni per nulla esasperati degli Humbucker, evitando quindi esaltazioni immotivate o bocciature ingenerose, non mi resta che una piccola e modesta verità: un buon disco rock simile a tanti altri. Se vi piace la musica educata e con un certo buon gusto, “Mondo electro” può rivelarsi una scelta azzeccata altrimenti passate oltre senza rimpianti.
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