“Black sun” arriva a ricordare e confermare, in questo mondo spesso frenetico e distratto, che i
Sancta Sanctorum rappresentano una delle realtà più interessanti del nostro inflazionato e congestionato panorama discografico, e che ciò accade indipendentemente da ogni eventuale forma di elegiaca benevolenza alimentata da antiche affezioni per i primordiali Death SS.
Assegnare tanta
responsabilità ad un semplice Ep contenente, in sostanza, un solo inedito potrebbe sembrare un po’ esagerato, ma anche da come si affrontano le rivisitazioni di brani “famosi” si può comprendere l’essenza, l’attitudine e il carisma di una formazione musicale.
Nell’analisi partiamo, comunque, proprio dal suddetto pezzo nuovo, denominato “Crash” e riproducente la cronaca di un
trip ipnotico, acido ed esoterico (con accenni all’estetica “subliminale” … una roba che avrebbe probabilmente fatto la “felicità” del celebre Mons. Balducci …), gratificato da una prepotente forza di suggestione.
Spendiamo due parole anche per la
remixed single version di “Black sun”, dove, come già nel pregevole debutto “The shining darkness”, alle gesta di Steve Sylvester, Thomas Hand Chaste (da segnalare anche i suoi Witchfield, molto importanti, tra l’altro, grazie alle
guest vocals dello stesso Sylvester, per la nascita dei Sancta Sanctorum) e Danny Hughes (un terzetto di personaggi molto cari ai fans della primigenia
horror music) e a quelle dei loro eccellenti coadiutori Frederick Dope e John Di Lallo, si affianca la chitarra sulfurea di un altro
maestro del settore, Mario "The Black" Di Donato (una proficua collaborazione
bidirezionale … Chaste ha concesso la sua arte compositivo-esecutiva alla fervida “Altamir”, inclusa nel favoloso “Gorgoni” dell’artista abruzzese): difficile non rimanere affascinati da questo fuligginoso e conturbante gioiellino dalle iridescenti screziature di
hard-prog psichedelico.
Ancora più significative, nel caso specifico, risultano però le
cover version, una materia che il “buon” Steve (“Free man”, "Heaven on their minds", “Come to the sabbath”, “Futilist's lament” … sono solo alcuni efficaci esempi) ha storicamente sempre saputo trattare con particolare abilità, non limitandosi ad una sterile trascrizione degli originali, riuscendo nella difficile impresa di offrirne una personale e creativa interpretazione.
In quest’ottica “Rainbow demon”, estratto del fondamentale “Demons & wizards” degli Uriah Heep, acquista un alone di rabbrividente morbosità, mentre addirittura più adescatrice risulta la manipolazione applicata ad un mito in note come “21th Century schizoid man” ottimamente riproposto da parecchi musicisti, spesso anche piuttosto lontani (ricordo, ad esempio, una buona rilettura degli April Wine) dalle prerogative ispirative dei creatori del brano (i King Crimson, per gli inguaribili
smemorati …) e che qui appare trasfigurato in un vibrante e sciamanico percorso
spiritual-emotivo in cui le tastiere di John Di Lallo (un’autentica rivelazione, per quanto mi riguarda!) possono dare libero sfogo a tutta la loro lisergica espressività.
Completa l’opera il
videoclip della stessa “Black sun”, prezioso e caleidoscopico complemento ( utile soprattutto agli intolleranti all’uso di
YouTube …) ad un eccellente dischetto, capace, come affermato all’inizio della disamina, di consolidare il ruolo di spicco di un gruppo che, del resto, per buona parte del suo organico, conosce assai bene il significato della parola “protagonista”.
Certo che se poi, e non me ne voglia il bravo Dope, un “certo” chitarrista, oggi impegnato in pur ambiziosi ed estrosi progetti artistici multimediali ed
ecosostenibili, volesse concedersi una (improbabile) “rimpatriata”, beh, non nego che sarebbe davvero stimolante ed elettrizzante assistere alla
third millenium edition di una delle creature più visionarie, inquietanti, magnetiche, inventive e competitive della musica rock italica.