Jeff Scott Soto è irrefutabilmente una delle grandi voci del
rock internazionale.
Per lui “parla” un impressionante percorso professionale, che dagli esordi alle
dipendenze di Malmsteen (a proposito … mi ha sempre fatto sorridere l’idea che un cantante di origine portoricana intonasse
fieramente “I am a viking” …) si è arricchito di un’autentica girandola di prestazioni in formazioni più o meno “solide” e d’innumerevoli collaborazioni, condotte, da un certo punto in avanti, in parallelo con una carriera solista anch’essa piuttosto ricca di soddisfazioni.
Il “problema”, se così vogliamo definirlo, è che una consacrazione completa, degna della sua inestimabile laringe, non è mai realmente arrivata, probabilmente perché non c’è mai stata una situazione artistica veramente
dominante e
autorevole che potesse dare massimo risalto alle sue qualità.
A tale traguardo il nostro si è avvicinato parecchie volte, con i Talisman, magari con i Soul SirkUS e con i W.E.T. (per i quali ci sono ancora “speranze”!), ma è innegabile che i Journey hanno rappresentato la grande “occasione persa”, con gli incontrastati
AOR masters americani che hanno preferito un
singer molto capace e al contempo decisamente più “gestibile” a livello di “carisma”…
Jeff comunque continua imperterrito a fare la sua “cosa”, solcando con inappuntabile dovizia
hard,
FM-rock,
blues,
soul e
funky (genere che pilotava, assieme ad un approccio
pop, il precedente “Beautiful mess”) e pure il nuovo “Damage control” si attesta tranquillamente nella fascia medio-alta dell’apprezzamento uditivo, grazie alla sua solita irreprensibile performance tecnica e interpretativa e all’opera insigne di una serie di coadiutori altrettanto preparati e rinomati (Joel Hoekstra dei Night Ranger, Dave Meniketti degli Y&T, Casey Grillo dei Kamelot, Jamie Borger e Nalley Påhlsson dei Treat …).
L’impressione che con uno “strumento” vocale del genere si potrebbe “fare di più” rimane intatta anche in questo caso, in cui, ancora una volta, un
songwriting piuttosto buono eppure non “eccezionale” non riesce a equivalere pienamente le capacità specialistiche, che finiscono per incidere in maniera (eccessivamente) determinante sul giudizio finale.
Il programma è complessivamente gradevole e riserva i suoi picchi di consenso nella grinta affabile della
title-track, nella spigliatezza del singolo ”Look inside your heart”, nelle vaporose melodie di “Die a little”, “Tears that I cry” e “How to love again”, mentre chi ama una preponderante risolutezza
hard-rock potrà trarre validi benefici da "Afterworld” e chi, viceversa, si vanta di possedere un animo maggiormente sensibile potrà affidarsi a “BonaFide” e "Neverending war”, ricavandone un discreto ristoro.
Anche grazie a “Damage Control” Jeff Scott Soto continuerà ad incarnare il ruolo di
vocalist extraoirdinaire e il suo nome seguiterà ad essere uno dei primi a venire in mente tanto per una collaborazione di “pregio & prestigio” quanto nelle
estenuanti sessioni di selezione per le
playlist di specialità … le arene e le grandi platee possono probabilmente ancora attendere, e se quest’aspetto può non essere del tutto deleterio (ricordo con piacere un suo coinvolgente e “familiare”
live show, in un minuscolo
rock club delle mie zone …), la possibilità di realizzazione di un
solo album davvero “decisivo”,
beh, quella forse comincia ad essere leggermente
utopica.
Essere smentiti, nello specifico, diventa una circostanza altamente auspicabile, così come “consolarsi” con un disco “solamente” molto godibile come questo non è comunque di certo da inserire tra quelle forme di
conforto oltremodo
artificiose e visibilmente
palliative.