L'onda d'urto della
Revival Wave of Heavy Metal non riceve stimoli unicamente dalle nuove leve che guardano al passato con ammirazione e spirito di emulazione, ma anche dalle
vecchie glorie che, a distanza di anni, si mettono nuovamente in gioco.
Questo è il caso degli
Sleepy Hollow, in attività dal finire degli anni ottanta e formati dal cantante Bob Mitchell dopo la sua fuoriuscita dagli Attacker, con i quali aveva inciso l'esordio "Battle At Helms Deep" (1985).
Dopo un primo demo nel 1989, gli Sleepy Hollow avevano realizzato il loro esordio, autotitolato, nel 1991, ma solo ora gli danno seguito con "Skull 13", un disco che affonda le proprie radici (ma non solo, pure il songwriting, la resa sonora, l'approccio...) negli eighties, e non stupisce affatto che esca per la Pure Steel Record.
A vent'anni di distanza il filo non si è ancora interrotto, ed anche a livello di formazione "Skull 13" non smentisce il passato del gruppo, con tre quarti della lineup originale, oltre al già citato Bob Mitchell, ritroviamo, infatti, il chitarrista Steve Stegg, il drummer Tommy Wassman ed il bassista Steve Brink, quest'ultimo poi rilevato provvisoriamente da Mike LePond dei Symphony X ed infine da Alan D'Angelo.
Le atmosfere ed il guitarwork di "Death of the Horseman" rimandano ai Savatage di "Sirens" e "The Dungeons Are Calling", con la creatura dei fratelli Oliva che rimane una delle principali influenze degli Sleepy Hollow, anche se la voce di Bob Mitchell, che qui sembra in piena forma, si trova a metà strada tra Harry Conklin, David Wayne e Chris Boltendahl.
Ad ogni modo, per quanto un qualche accostamento tra "Facemelter"o "Midnight" ed i Grave Digger ci potrebbe pure stare, le fondamenta poggiano su un solido US Metal, tra Jag Panzer ("Black Passage" o "Eternal Bridge"), Metal Church ed Helstar, su quel sound che accomuna tante formazioni dell'underground statunitense, dalle più conosciute a quelle meno note, come Syrus, Zaxas e - ovviamente - Attacker.
Tra le varie canzoni si segnalano "Epic (The Legend Retold)", e non solo per la sua lunghezza (a sfiorare i dieci minuti) ma anche per la sua teatralità ed i cavalcanti rimandi maideniani, ed il pathos che emerge dalla successiva "Eternal Bridge".
Come già detto in apertura, "Skull 13" è un riuscito
Déjà vu ... una Corsa contro il tempo.
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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