Spesso e oleoso. Il suono dei Tummler cola nelle orecchie con la fluidità della melma di palude. Greve heavy rock che sogna lo spazio ma resta ben inchiodato a terra, bloccato da un collante fuzz-stoner, metal old-style, lercio rock’n’roll, e da una cupa aura retrò che riveste il loro lavoro con le grigie tonalità di Black Sabbath, Iron Butterfly, Trouble. Avevano esordito alcuni anni fa con “Queen of Bishop VI” per la Man’s Ruin poi, dopo un’impressionante numero di concerti con Alabama Thunderpussy, L7, Nebula, Antiseen, Fatso Jetson, The Hookers e compagnia, si erano dileguati in qualche buco di Champaigne, Illinois. Lì sono stati ripescati dalla Small Stone, l’indie più stoner del momento, e dopo alcune modifiche di line-up sono stati scaraventati in studio per la realizzazione di questo “Early man”. Noi amanti di questa branca di heavy pesante, nicchia tra le nicchie, tendiamo ad essere fin troppo severi con le bands che affollano il settore, al contrario di altri che strombazzano come “fenomeni” qualsiasi gruppetto uguale a mille altri, per cui seguendo la tradizione dirò che non siamo di fronte ad un evento straordinario, ma di fronte ad un buon disco è cosa sicura. Sufficiente per stimolare l’interesse degli appassionati il monolito “Planet Moai”, estensione che supera i dieci minuti tra rovinose profondità doomeggianti e liberazioni up-tempo con accenni “cosmici”, un brano che riassume la filosofia dei Tummler di un heavy solido, compatto, sostenuto da ritmiche mutuate dal metal e da sorniona indole stoner, con l’aggiunta della ruvida ed ispirata voce di Buldack capace di un obliquo senso melodico. Altrettanto gustoso “Arlo”, episodio maggiormente stoner che ricorda qualcosa dei Lowrider, e massicce con buon groove sia l’opener “Shooting blanks” che la conclusiva “Lost sense of the cosmic”, dai suoni taglienti prettamente metallici, molto più legati alla nevrosi urbana che alle meditative solitudini desertiche. Aggiungiamo come bonus una rallentata cover di “War is our destiny” dei Saint Vitus ed abbiamo un’immagine completa di un disco che non dovrebbe mancare nel pacchetto novità degli intenditori, ennesimo colpo a segno della competente Small Stone, vera erede della defunta label di Kozik.
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