Assai curato e fascinoso fin dal suo suggestivo
artwork, tanto da riuscire ancora a stupire anche in un’epoca dove la tecnologia riesce con una certa facilità a supportare l’inventiva pure in una produzione priva di autorevoli patrocini, “Elegy for a broken life” arriva al “
glorioso vaglio” di
Metal.it svelando tutte le ambizioni e le qualità di un gruppo, i
Circle of Moebius, che non faticherà troppo ad irretire i sostenitori della musica drammatica, intensa e “aristocratica”, lontana da qualunque forma di “volgarizzazione” dozzinale dell’
heavy metal.
Gothic,
hard rock e un pizzico di
prog convivono in un suono intenso, gravido di sensazioni fosche, inquiete ed enfatiche e anche se i nomi di Queensryche, Dream Theater, Ayreon, Theatre of Tragedy, The Gathering e (perché no?) Evanescence e Lacuna Coil, possono in qualche modo fornire
indizi stilistici utili ad indirizzare il lettore, è altresì bene rilevare quanto sia distante il lavoro di Paolo “P2K!” Salvati e dei suoi affiliati da una sterile trascrizione di modalità espressive ampiamente consolidate.
L’uso delle due voci femminili, se da un lato accentua superficialmente l’attiguità con una certa scuola “gotica” di grande diffusione, dall’altra dimostra come sia possibile svincolarsi da “comode” ispirazioni, pur rimanendo nel medesimo ambito emotivo: Eleonora Serafini, dal timbro più etereo e Laura “Dafnerock” Prosperi, maggiormente pragmatica nelle sue modulazioni, si dividono il microfono con gusto e dominio interpretativo, fornendo un vicendevole fattivo contributo in sede di
backing vocals, quando è la collega a conquistare il proscenio.
Difficile estrapolare i momenti migliori di un disco “concettuale” che, come tale, andrebbe valutato e fruito nella sua interezza, e tuttavia non posso esimermi dal segnalare il tocco di arrembante e arioso
hard-prog di “Kingdom comes” (ottimo il contrappunto tastieristico dell’ospite Danilo Petrelli, membro di U.N.O. e Graal), piacevole diversivo in un contesto prevalentemente malinconico che raggiunge il suo apice nella vagamente Floyd-
iana “My own prison” (con il recitato di Valentina Chiarenza degli Antistamina), nell’immaginifica e tormentata “Silent dogma” e nella conclusiva "I’ll call your name”, sentito e raffinato scandaglio emozionale, a cui, forse, avrebbe giovato una superiore risolutezza canora.
I Circle of Moebius meritano, dunque, una
chance discografica importante che possa magari aiutarli a crescere ulteriormente, focalizzando al meglio le notevoli virtù … seguirli nel loro percorso artistico, anche in assenza di tale meritata
sponsorizzazione (trovare etichette autorevoli che amano il “rischio”, sebbene ampiamente “calcolato” come in questo caso, è purtroppo sempre più difficile …) è uno di quei
rari impegni tanto
inderogabili quanto
appetibili.
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