Quando una delle anime di una band viene a mancare in modo tragico e inaspettato, ci sono molte scelte che gli altri possono fare. Quando chi muore possiede una delle più incredibili voci del mondo hard rock, quelle scelte si fanno ancora più difficili. Perché i fan rimangono orfani e addolorati, è vero, ma chi perde un amico e un compagno di viaggio dopo vent’anni di carriera come si deve sentire? Sinceramente, non riesco ad immaginarlo. Quello che so per certo è che quando i
Gotthard, pochi mesi fa, hanno deciso di andare avanti senza
Steve Lee chiamando a bordo un nuovo giovane cantante i sentimenti che ho vissuto erano sostanzialmente due: la felicità per la sopravvivenza di una delle mie band preferite in assoluto, ma anche il dubbio sulla convenienza e bontà della scelta di proseguire con lo stesso monicker, correndo il rischio di rovinare qualcosa che fino a quel momento aveva sfiorato la perfezione.
Dopo aver letto le parole dette e scritte da tutta la band negli ultimi mesi, dopo aver avuto l’onore di intervistare di persona
Leo Leoni e, soprattutto, dopo aver ascoltato il nuovo disco, ora posso dirlo: i Gotthard hanno fatto la scelta giusta, spinti da una voglia di ricominciare invidiabile e sincera, che traspare in ogni nota di
Firebirth. Merito di tutti quanti, ma con un elogio particolare al nuovo arrivato,
Nic Maeder, che si prende il ruolo di protagonista con una prestazione eccellente e di grande personalità. Una voce potente e affascinante, che pur senza sfiorare le vette inarrivabili di Lee conferisce al disco la giusta direzione, senza mai strafare e senza mai sfigurare. In attesa di vedere se anche dal vivo saprà conquistare tutti, dunque, la prima promozione a pieni voti è per lui.
La seconda nota di merito va al sound di Firebirth. Nella recente intervista, Leoni è stato chiarissimo: con questo album i Gotthard sono tornati a guardare al passato, cercando di recuperare quell’attitudine tipica dei primi album. Così, dopo l’evoluzione stupenda di
Need To Believe, il ritorno verso qualcosa a metà tra
G e
Dial Hard è una sorpresa lieta ma completamente inattesa che riesce a conquistare l’ascoltatore grazie ad un’esplosiva miscela di hard rock di classe e ballad, in cui lo stile Gotthard è sempre estremamente riconoscibile e, ovviamente, apprezzabile.
I pezzi da segnalare sono praticamente tutti. Lasciate pure stare l’opener
Starlight, perché pur essendo decisamente carina non è all’altezza del resto.
Give Me Real,
Fight e
I Can sono tre mazzate ben assestate, con il consueto gusto melodico clamorosamente centrato sull’obiettivo, così come la scanzonata
Yippie Aye Yay, che potremmo considerare la Sister Moon del 2012. I teneroni troveranno più di un motivo per farsi cullare da Firebirth: l’ormai nota
Remember It’s Me, l’acustica
Tell Me e le ben arrangiate
Shine e
Take It All Back, oltre alla conclusiva
Where Are You?, riflessivo omaggio a Steve Lee che fa venire i brividi e stimola i pensieri. Il ritornello di
The Story Is Over è qualcosa di magico, mentre con
Right On ritroviamo i Gotthard più moderni ed efficaci, prima di una
S.O.S. non proprio clamorosa ma con un bel lavoro chitarristico alle spalle.
Il mio voto è nove, di cui 8,5 per Firebirth e un mezzo in più per la gioia di aver ritrovato una band che temevo di aver perso per sempre. Signori miei, i Gotthard sono tornati con un disco da avere assolutamente. Fatelo vostro e non ve ne pentirete.