L'
uroboro è uno dei simboli più conosciuti dell’iconografia mistica, usato in una miriade di situazioni, religioni, credenze filosofiche. La sua incarnazione classica è il serpente che si morde la coda da solo, a voler significare che tutto inizia e finisce rinascendo da se stesso, in un interminabile ciclo di morti e resurrezioni. È questo il simbolo (ed il nome) che i finlandesi
Status Minor scelgono come alfiere del nuovo album, il secondo, sempre sotto Lion Music.
Il concept (quasi inevitabile) che accompagna “
Ouroboros” parla di una storia d’amore, dalla sua nascita, al suo dipanarsi, fino alla sua fine ed alla rinascita che questa fine comporta. Dal punto di vista musicale, la band nordica è sempre alle prese con un prog metal muscoloso e riffoso, in cui però la parte puramente prog viene un po’ sacrificata sull’altare della melodia e dell’arrangiamento vocale. Ciò che le mie orecchie percepiscono è quindi uno strano ibrido, spesso somigliante ai Royal Hunt dell’era West (quindi i peggiori, secondo chi scrive); sarà la presenza, in qualità di guest vocalist, di
Anna Murphy degli
Eluveitie a permettere alla storia di svilupparsi, consentendo il dialogo tra ‘lui’ e ‘lei’. Ma ascoltando e riascoltando questo disco, devo ammettere che la pasta sonora del suddetto non fa gridare al miracolo, né per la produzione, asciutta ed essenziale seppur di qualità, né soprattutto per il songwriting, che in questo secondo capitolo mi lascia perplesso proprio laddove mi aveva messo in allarme sul
debut album della band, eccezion fatta solo per la conclusiva “
Sail Away”, in cui gli Status Minor riescono nella quadratura del cerchio, sfornando dieci minuti e spicci di suite prog metal fatta veramente come si deve, con il solito accento sulla melodia e sulle “schermaglie amorose” e vocali tra
Anna e Markku (e qui scatta il pensiero al compianto Lucio Dalla…). In generale, però, le soluzioni scelte puzzano di sentito lontano un miglio, e l’indubbia qualità tecnica dei singoli stavolta viene piegata (troppo?) alle esigenze di una trama che, ammettiamolo, non gode neanche di testi particolarmente ricercati, cosa che il vostro Sbranf, da vero amante del prog, pretende quando si parla di un album del genere.
Tutto sommato un disco piacevole, dunque, ma ahinoi privo di quella scintilla che possa portare la curiosità dell’ascoltatore novizio ad un potenziale acquisto.
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