Il terzo (dopo Whores e We’ll Go Machete) contatto del sottoscritto con la Stressed Sumo Records di Neil Cooper (dei Therapy?) e Phil Rhodes parla il linguaggio del
post-rock strumentale e a profferire tale forma di comunicazione sono gli
You Slut!, quartetto inglese già assunto agli onori della critica con il precedente “Critical meat”.
Visto il genere musicale e le modalità operative selezionate è fatale indicare i seminali Don Caballero come principali modelli dei nostri, in un elenco d’influenze che non può prescindere comunque nemmeno dalla citazione di Dysrhythmia, Mogway, Rodan e Hella.
Una compagnia piuttosto “importante” e autorevole a cui gli You Slut! si accostano forti di una notevole sensibilità creativa e di un’opportuna flessibilità, realizzando un prodotto in cui l’ampia trama di soluzioni armoniche pur stratificate ed imprevedibili, non smarrisce mai (o quasi mai) quel senso di persuasione melodica necessario ad evitare l’onta del “
bravi, ma basta”.
Non dico che “Medium bastard” possa essere apprezzato con “leggerezza” anche da chi non è avvezzo a questi suoni, eppure è innegabile che nei suoi momenti meno
obliqui ed
angolari si possa parlare addirittura di un approccio
quasi “radiofonico” alla materia.
E’ il caso di "Let's do 'do the what now? Now”, “Hiya higher hire” e “More than one seamless” in cui il preponderante
humus rumoroso e l’innato istinto
sperimentale si stempera in un volubile ed etereo gusto melodico, lo stesso che ritroviamo nelle suggestive “Fifzteen” e “Plural sex”, in cui, però, emerge in maniera piuttosto evidente un approccio più vicino al concetto di
prog /
fusion.
Chi ama le atmosfere maggiormente viscerali e frenetiche potrà rinfrancarsi con “Pitch & putt with you slut!” (con tanto di tocco vagamente
Tarantiniano …), "Elton Chong” è forse il pezzo dove l’equilibrio tra
isteria e
armonia raggiunge il suo apogeo, mentre tocca a “Magnifiererer”, “Shellsock” e “Shopping placenta” mettere alla prova la concentrazione dell’ascoltatore, sottoposta a questa continua fluttuazione sonica fatta di fraseggi spezzati, parabole sghembe e pulsanti aritmie.
Gli appassionati del settore riceveranno delle rassicuranti conferme da questi venticinque minuti di musica irrequieta,
cerebrale e
matematica, capace, magari, con la dovuta cautela, di compiacere anche qualche
rockofilo meno navigato, incuriosito da un’istallazione artistica devota ad una configurazione di
astrattismo in qualche modo “sostenibile”.
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