Sarà capitato certamente anche a voi di ascoltare un disco con sonorità di una regione lontana ed aver voglia di partire e di andare a visitare il luogo e le tradizioni legato ad esso.
Yìa De Nuesu è una fotografia. Una cartolina dalla regione spagnola di Leon ai confini con il Portogallo. Le suggestioni create dagli
Llvme sono pennellate che invece di colore lasciano tracce di pagan, doom, folk e black, miscelati con coerenza ed incanto. Nelle loro canzoni sono riscontrabili influenze che vanno dai Primordial ai Negura Bunget, dai Moonspeel ai My Dying Bride senza mai cadere però nella copiatura fine a se stessa. Gli Llvme hanno un anima legata profondamente alle radici della propria terra, e riescono a mettere in musica questo legame in maniera chiara e coerente.
Il disco missato da Daniel Cardoso, tastierista in sede live per gli Anathema presso gli Ultrasounds Studios, si apre con
1188-1230, (durata del regno di Alfonso VIII di Leon), dove momenti più black si alternano a parti doom, conditi con una splendido stacco di violino su un arpeggio di chitarra classica e dalla voce di Ana Sanabria. Seguono l’incalzante
Helmantica e la ritmata
Vettonia, aperta dai suoni di una cornamusa ed accompagnata per tutta la durata dal violino.
Con
Vaqueirada’l Baitse, cantata da Marisa del gruppo folk Son Del Cardel, arriva il primo pezzo che da quella particolarità folk ed intimistica all’album.
Conceyu è la canzone più doom del disco, con forti richiami ai My Dying Bride di As The Flowers Winter. La conturbante
Yia Fatu A Tierra, seguita da
Pramosèu è uno stacco quasi danzante che sfocia in
Purtiellu De La Lialtà.
Libaciòn Nu Alborecer è accompagnata da un organo che da profondità alla canzone fino alla sfuriata black del finale. Le cornamuse di
Xota Chaconeada ci introducono alla terremotante Miròbriga ed al suo violino inquietante ed impazzito.
Fayèu De Suenos con un dolcissimo pianoforte, rumore di pioggia e cinguettii di uccelli conclude Yia De Nuesu. Aggressiva e mai fuori luogo la voce del nuovo cantante
Eric Montejo, ottima la prova del fondatore e polistrumentista
Nandu Prieto. A mio avviso un disco che scorre all’ascolto nonostante le differenze stilistiche nella proposta del gruppo, a mio avviso un piccolo gioiello.
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