Lions Among Men è il nuovo album dei
The Firstborn, band lusitana dedita a un black metal inusuale e che non rientra al meglio tra i cliché del genere; c’è molto di sperimentale e di ancor di più personale tanto da poterlo definire sicuramente avantgarde.
Così come lo era stato già per i loro lavori precedenti, il tema principale della loro proposta è ancora una volta i fondamenti di un Buddismo disincantato mirato a un’interpretazione smaterializzante del rapporto con la natura. La musica (in questione) intesa come via spirituale verso un infinito oscuro: sono loro stessi a definirla
Tantric Rock.Il misticismo e la tradizione indiana -e se vogliamo anche la cultura- vengono ritratti in una cornice black parecchio elastica che lascia volentieri spazio a un’elaborazione strumentale capace di costruire attorno l’ascoltatore atmosfere dai toni orientali grazie all’introduzione di passaggi e brevi solo armoniosi, ispirati proprio da queste terre, e facilmente individuabili.
Vi capiterà spesso durante l’ascolto che invece l’effetto sia l’esatto contrario, che cioè siano le arie meditative ad accogliere la componente metal e il growl di Bruno Fernandes.
Altro elemento peculiare è l’impronta del guest
Luís Simões che oltre alle percussioni porta all’interno dell’album il suono inconfondibile del
sitar, una sorta di chitarra dal lungo manico tipico della musica indiana e orientale in generale.
Tra i pezzi più vicini al black metal classico vi segnalo
“Without as Within” ed
“Eight Flashing Lances” mentre con la tilte-track e il finale strumentale
“Sounds Libarated as Mantra” incontriamo una maggiore tendenza alla sperimentazione descritta sopra.
Punto debole una produzione mediocre che non sempre riesce a mettere in risalto sfumature che, sottolineate nei momenti opportuni, sarebbero state il valore aggiunto dell’album: bastava mettere l’accento su questo o quell’altro elemento ed evitare di avvicinarsi, come è stato in molti frangenti, a un effetto “mono” che comunque non intacca eccessivamente la considerazione finale.
In conclusione un album di tutto rispetto se non altro per l’intraprendenza e la coerenza, che ruggisce sì ma non graffia come dovrebbe.
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