“Domenica, 3 Ottobre, 6 della sera, piove… Mi è stato ordinato di uccidere 7 prigionieri. Allineati, bendati e incatenati ad un palo. E’ come se i miei proiettili non possano colpirli. Invece sette terrori e sette orribili visioni di guerra, una dopo l’altra, catturarono la mia anima…”
Inizia così la terza fatica degli olandesi
Carach Angren, dopo un buon debutto,
“Lamendam” uscito nel 2008, seguito da un validissimo “
Death Came Through a Phantom Ship”. Tornano con questo “
Where the Corpses Sink Forever” ulteriormente migliorati e carichi, con una nuova storia, di cui, però, nulla voglio anticiparvi in sede di recensione. La ricetta resta invariata rispetto ai precedenti lavori, vale a dire un
black/death sinfonico e teatrale in cui la musica fa letteralmente da colonna sonora alla vicenda narrata. Il black metal del terzetto olandese è di ottimo livello, con melodie ben strutturate e amalgamate con le partiture orchestrali in cui la teatralità è elemento fondamentale.
Tra i brani migliori, “
Lingering in an Imprinting Haunting” con i suoi interventi ben dosati di cori gregoriani e la struggente “
The Funerary Dirge of a Violinist”, a mio parere il brano migliore dell’album. Ma è comunque nel suo complesso che l’album riesce ad essere apprezzato maggiormente, con i testi alla mano, perché mai come in dischi così, l’importanza dei testi resta fondamentale.
Un pregio dei
Carach Angren è sicuramente quello di aver saputo dare alle composizioni un filo conduttore che va oltre il normale concept album. L’assenza stessa di testi costruiti nella classica forma-canzone, sostituiti dal racconto diviso per capitoli (che sono poi le tracce del disco) recitati dalla ottima prova del cantante
Seregor, aiuta a rendere “
Where the Corpses Sink Forever” un vero e proprio “film senza immagini”, come un vecchio film muto, in cui non sono i gesti e la mimica degli attori a recitare la storia, ma bensì la sola musica .
Ci sono ancora dei punti da migliorare, qualche ingenuità nel songwriting, come alcuni improvvisi cambi di registro che andrebbero a parer mio ammorbiti o l’aggiunta di qualche assolo in più che, incastrato tra le parti più tirate e quelle sinfoniche, avrebbe reso un pathos e una drammaticità notevolmente più alta, ma siamo comunque su alti livelli e son certo che proseguendo su questa strada, il futuro dei
Carach Angren non potrà che essere roseo.
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