Chissà se qualcuno si ricorda di Tokyo e di Craaft … beh, se state pensando alle vacanze nella metropoli giapponese o alle “cose buone dal mondo” (questa la capiranno soprattutto i meno “imberbi” …) siamo decisamente fuori strada, e
verosimilmente, o siete dei “neofiti” dell’
hard melodico internazionale o siete poco attenti alle sue realtà più “oscure”.
Si tratta, in realtà, di due formazioni piuttosto valide e stimate emerse all’interno della rinomata tradizione teutonica del genere, avviata dagli Scorpions (e sostenuta da gente come Victory, 48 Crash, Jojo, Roko, Dominoe, Domain, Zeno e parecchi altri, fino ai più noti Axxis, Bonfire, Mad Max e Fair Warning …) e in grado di ritagliarsi uno spazio importante (analogamente alla scena scandinava) all’interno dell’egemonico
metalrama angloamericano.
Ebbene, i due nomi citati rappresentano il glorioso passato artistico di
Klaus Luley, mentre oggi, a distanza di una ventina d’anni da quei
fasti, è la band che porta il suo cognome (cui contribuiscono musicisti di spessore e curriculum) ad incarnare la sua rinnovata voglia di tornare a
rockare (
come un uragano …), alimentato dall’indomabile spirito degli
eighties, ormai da qualche tempo assai apprezzato dall’industria del disco e dal pubblico.
Il risultato è discreto, si concede un solo autentico “tuffo nel passato” con il
remake dell’
hit “Tokyo” (un
gioiellino, peraltro, anche in questa
updated version) e per il resto offre una gradevole miscela di
rock melodico ad ampio spettro, in cui, oltre a quello degli immancabili
Scorpioni di Hannover, affiorano pure i nomi di McAuley Schenker Group, Europe, Bon Jovi, Toto e Foreigner tra i potenziali ascendenti dell’opera.
Stabilito il contesto, non si può che gradire l’ardore tipicamente mitteleuropeo di "Slippin’ away”, “Livin’ in the night” (
ballatona da suggestione garantita), “Don’t wanna see your face” (tra Tokyo e MSG) e della crepuscolare "When the night comes down”, così come godere del levigato tocco
west-coast AOR di “Higher”, del velluto
blues vagamente Whitesnake-
iano di “Here in my arms” e della brezza pomposa di “Take me today”, finendo magari, allo stesso tempo, per catalogare il programma nella sua interezza come quella bella “robetta” incapace tanto di
deludere quanto di
eccellere.
Rimane da sottolineare la prestazione di valore del buon Klaus, equamente divisa tra pastose vocals, chitarre sensibili e tastiere discrete, per un ritorno da accogliere con benevolenza, pur evidenziando, allo stato attuale, una certa difficoltà nell’emergere con la forza della distinzione e della
verve in un mercato discografico sempre più
anossico e livellato.
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