I
Soul Secret sono al secondo
full-length (esordio ufficiale nel 2008 con “Flowing portraits” licenziato dalla nota ProgRock Records) e suonano una forma piuttosto “tradizionale” di
prog-metal.
Impossibile, visto l’ambito stilistico, astenersi dall’affrontare concetti come tecnica esecutiva, irrequietezza compositiva, aristocrazia espressiva, finendo, poi, quasi
fatalmente, per menzionare i Dream Theater (i nostri, tra l’altro, hanno un passato da
tribute-band del
Teatro Del Sogno …) nelle vesti d’irrinunciabili modelli ispirativi.
Subito dopo aver costatato che i napoletani fronteggiano la “scottante” materia potendo contare effettivamente su una considerevole perizia e dopo aver confermato i loro precipui numi tutelari, quello che mi preme sottolineare è la capacità del gruppo di “contaminare” le varie parti costitutive del suono con un buonissimo gusto melodico, capace di emergere anche quando l’obiettivo principale sembra quello di soddisfare gli amanti di soluzioni maggiormente mutevoli e oblique, tipiche peraltro del genere di appartenenza.
Ne scaturisce un prodotto alquanto godibile, in cui si può apprezzare il resto del
background della band partenopea, abbastanza “scontato” (i “soliti” Shadow Gallery, Rush, Enchant, Kansas, Yes, Genesis, …) eppure sufficientemente variegato e abilmente “metabolizzato”, tanto da farmi venire in mente la benemerita opera dei DGM (Mark Basile ha pure cantato su “Flowing portraits”…), tra i migliori e “illuminati” interpreti di settore, troppo spesso dimenticati nelle specifiche liste comparative.
La nomea del
leader non compete ancora ai Soul Secret e questo perché nonostante i lodevoli (e moderatamente produttivi) sforzi, le composizioni non sempre hanno la giusta “focalizzazione” e quella magica fluidità e incisività che solo i maestri sanno inoculare in soluzioni armoniche intrinsecamente “ermetiche”, ma si percepisce fin dal primo “contatto” che la strada per tale ambizioso obiettivo è quella corretta, anche se presumibilmente non sarà né facile e né “indolore” percorrerla fino in fondo.
Bisognerà avere il “coraggio” di attenuare ulteriormente qualche “tecnicismo”, dispiegare completamente i tratti della propria sensibilità melodica e adoperarsi strenuamente per rendere il
songwriting una prodigiosa intersezione tra immediata forza di
persuasione e profonda capacità d’
immaginazione, in grado di blandire immediatamente i sensi e fornir loro al contempo un senso di “novità” e d’imprevedibilità ad ogni ascolto.
Come anticipato, l’impresa è sicuramente “impegnativa” e tuttavia se si dà credito all’afflato epico di “Checkmate” e alle sue liriche aperture, se si spoglia di un pizzico di “pretenziosità” la bella “River’s edge” e si elimina l’alone di “prevedibile” che ammanta la sinfonica “If” (con la voce di Anna Assentato, ospite nel brano) e le suggestive "The shelter” (una pregevole “prova d’insieme”, comunque) e “Behind the curtain”, ci si rende conto che si tratta di un progetto assolutamente
realizzabile, con i mezzi “fisici” e “intellettivi” posseduti dai Soul Secret.
Anche la conclusione “classica” in configurazione di
suite è da annoverare tra i momenti “incoraggianti” dell’albo: pur nella sua ortodossia, "Aftermath” è un buon esempio di viscerale amore per i capisaldi del
prog-rock, contrassegnato da un’adeguata ispirazione e risolto in bello stile, anche grazie alla contribuzione di Arno Menses (Subsignal, Sieges Even).
Ricordando, infine, la presenza di Marco Sfogli (James LaBrie Band) come ulteriore
special guest del disco non mi resta che ratificare nuovamente le impressioni favorevoli ricevute da “Closer to daylight”, consigliandolo a tutti quelli che amano la musica di valore, certamente non ancora giunta al suo massimo stadio di “maturazione”, eppure già degna di notevole attenzione.
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