Il termine “cattedrale” emana sempre un'aura di maestosità e mistero, che si mescola a quell'idea di sacralità che rende il tutto affascinante e coinvolgente. Quei soffitti così alti, che sembrano voler toccare il cielo, quegli affreschi bellissimi e pregni di forte simbolismo, il tutto unito alla freschezza dell'aria, a quel suo essere così ampia, pur essendo racchiusa all'interno delle mura, inevitabilmente ci porta lontano con la mente, a tempi andati o forse mai esistiti, una specie di viaggio mentale onirico ed interiore che da sempre caratterizza chi usa la mente per andare lontano.
Tutto questo preambolo serve per spiegare le sensazioni e gli umori che una band come i “Cathedral” (
mai nome fu più appropriato!) è capace di suscitare negli ascoltatori, un misto di magniloquenza e senso di oppressione, al quale si alternano spazi ampi ed evocativi, figli di un modo di fare musica che affonda le proprie radici negli anni '70, quelli che hanno visto nascere le fughe strumentali del progressive rock e i deliri occulto/esoterici di band come i grandi Black Sabbath, che con il loro primo lavoro hanno attratto intere generazioni verso il lato più oscuro e tetro del Rock.
La band di
Lee Dorrian, però, non è solo devozione al verbo settantiano, ma è anche interpretazione personale, gusto per le atmosfere e voglia di sperimentare e trasgredire, rimanendo allo stesso tempo coerenti e riconoscibili, perciò niente cloni o sterili omaggi ai tempi ormai andati, bensì solo voglia di suonare e divertirsi.
L'ultimo full-lenght ufficiale della band risale al 2010 ed è intitolato “Th
e Guessing Game”, un lavoro estremamente particolare, sviluppato su due cd che rappresentano un po' tutto ciò che i Cathedral sono in grado di produrre, alternando parti più
easy e
catchy (prendete questi due termini con le molle, non è che qui troverete ritornelli corali ripetuti fino allo sfinimento, oppure riff leggeri e di facile presa) ad altre più oscure e sperimentali, con continui richiami al passato che rincorrono e si sovrappongono a tutto ciò che il gruppo ha fatto in tempi più recenti, il tutto condito da una produzione pulita, ma non troppo, capace di permeare tutto l'album con un mood sanguigno che lo rende ancora più appetibile e godibile.
In genere non amo le recensioni sviluppate sul classico track-by-track, ma in questo caso ritengo utile adottare tale approccio, dato che questo doppio disco contiene in sé elementi molto diversi e interessanti, che non possono essere riassunti prendendo come prototipo un determinato brano e presentarlo come paradigmatico di tutto ciò che “The Guessing Game” è in grado di esprimere. In base a ciò vi chiedo anticipatamente scusa per la lunghezza dello scritto, ma spero che vogliate lo stesso seguirmi fino alla fine; iniziamo.
Per prima cosa voglio dire che ho diviso
idealmente il lavoro in due tronconi, corrispondenti ai due supporti ottici, che hanno come spartiacque i brani strumentali introduttivi; una specie di primo e secondo tempo di un film che non ha una trama propriamente lineare.
Disco Uno:
“
Immaculate Misconception”: intro molto onirica, con echi psichedelici e forti richiami alle atmosfere degli anni Settanta; in chiusura troviamo il pianto di un neonato. Ottimo biglietto da visita.
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Funeral For A Dreams”: avvio roboante, con un riff bello massiccio e la voce di Dorrian che accompagna con grande espressività. Segue un break molto atmosferico, in voce recitata, che poi sfocia in atmosfere folk, psichedeliche e sognanti. In seguito si ritorna su binari più stoner/doom, alternati nuovamente dal recitato e dal refrain psych-folk. Intorno al terzo minuto e mezzo, uno stupendo solo di chitarra spezza il ritmo della canzone e dona freschezza; uno stacco settantiano, bello sognate, ci riporta, poi, al tema iniziale. Il finale è ritmato, con un bel lavoro di basso, e un Dorrian espressivo e comunicativo.
Grande pezzo!“
Painting In The Dark”: inizio parlato, poi chitarra in bella mostra che, dopo un breve solo, un'introduzione di batteria ed un ottimo giro di basso, sfocia in un pezzo tirato con un Dorrian più “crudo” che in precedenza. Il riff è come al solito pesante, fangoso ed ossessivo e, verso il terzo minuto e mezzo, Gaz Jennings ci delizia con una parte solista molto bella ed espressiva, accompagnata da breaks che alternano parti più lente ad altre più rapide, che sfociano in altro solo più bello del primo. Chiusura con chitarra “noise”.
“
Death Of An Anarchist”: si parte in maniera lenta e malinconica, alla quale segue un riff potente e di grande impatto, che ha in sé un retrogusto nostalgico, di qualcosa di perso, ben evidenziato dal cantato di Lee Dorrian. Poco prima del terzo minuto troviamo uno stacco lento, poi si ritorna su binari classici. Un nuovo break dolcemente psichedelico dona un non so che di sognante e disilluso al brano; a seguire un'accelerazione improvvisa, supportata da un ottimo giro di basso e da un'impronta vocale quasi “disperata”; solo sporco. Il tutto è molto trascinante ed immediato, con un chiusura in cui chitarra, batteria e basso si accompagnano in maniera egregia fino al finale troncato.
Highlight del disco, assolutamente splendida!“
The Guessing Game”: traccia strumentale dal fortissimo sapore settantiano, molto godibile;
scelta coraggiosa per la title track! Il pezzo ha un'atmosfera rilassata e giocosa ed è ben inserito nel mood dell'album, infatti ne rispecchia bene l'andamento sperimentale e poco lineare.
“
Edwige's Eyes”: traccia, dedicata alla nostra
Edwige Fenech, in cui si respira un'atmosfera più oscura e più doom, in linea con la suspense tipica dei gialli italiani degli anni '70. Il ritornello,
ficcante e
catchy, è preceduto da un breve giro di chitarra molto espressivo. Intorno a metà canzone troviamo un cambio di ritmo, ma il riffing rimane sempre pesante e fangoso, seguito da un solo pulito e preciso. Il ritorno alle atmosfere iniziali ci conduce verso la chiusura, affidata al ritornello. E' il brano più easy dell'intero album, ma risulta assolutamente stupendo e fruibile.
“
Cats, Incense, Candles & Wine": inizio acustico abbastanza folle ed accattivante, con atmosfere magico/oniriche, con un Dorrian sempre molto espressivo. Poco dopo il secondo minuto il ritmo di velocizza e sfocia in un pezzo arioso e molto divertente, dall'atmosfera allegra e spensierata. Break centrale molto bello, caratterizzato da una batteria che ha un
vago sentore jazz, ed una chitarra sempre presente ma meno fangosa del solito. Intorno a quinto minuto si ritorna all'acustico iniziale, con l'aggiunta una parte fischiata che ci accompagnerà verso chiusura del sia pezzo che del primo disco.
Disco due:
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One Dimensional People”: nuova intro, più diretta e doom rispetto alla precedente, quasi a segnare uno spartiacque tra primo e secondo disco. La chitarra è molto più presente ed affilata e i suoni sono più metallici e duri.
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The Casket Chaser”: la batteria detta il tempo e la chitarra scandisce un riff roccioso e trascinante. Anche Dorrian adotta un'impostazione più alta ed aggressiva, con un accento più lugubre e basso intorno al minuto e venti. Dopo uno stacco recitato al secondo minuto abbiamo un nuovo pezzo con voce bassa e “sporca”. Poco prima del quarto minuto un solo di chitarra abbastanza lungo e trascinante ci riconduce riporta al tema iniziale. Il brano è diretto ed aggressivo, meno sognante e psichedelico rispetto a quanto udito nel primo compact disc, anche se è comunque dotato di un riff portante ficcante e ben strutturato che ci accompagna in chiusura.
“
La Noche Del Buque Maldito (aka The Ghost Ship Of The Blind Dead)”: inizio lento ed inquietante, in linea con il titolo. La traccia accelera, ma la
voce questa volta è effettata e tutto il brano è accompagnato da un sound estraneante e molto particolare. Poco dopo il terzo minuto il riff si fa più roccioso e la batteria più incalzante, poi si passa ad un rallentamento molto doomy con un'impostazione vocale che manda a lontani echi di “
Forest Of Equilibrium”, dando al tutto un tono ancor più oscuro. Dopo il ritorno al tema iniziale, con voce “alterata”, veniamo trasportati verso la fine del pezzo, il quale, pur non essendo all'altezza dei precedenti, risulta nel complesso piacevole.
“
The Running Man”: apertura doomeggiante dal sapore psichedelico, seguita da una ritmica sincopata e martellante, su cui si appoggia un cantato tranquillo. Intorno ai due minuti e trenta la voce si fa più psicotica e si passa da un break più ritmato e psichico ad una parte più lenta e magniloquente, sempre dal sapore settantiano. Riffone vicino a metà brano molto doom, che rimanda al passato della band inglese, con echi acustici di sottofondo; ritorno alla trama iniziale. Segue una convulsione chitarristica che porta il brano su toni molto "free", dove gli strumenti giocano molto tra di loro e si sente, in sottofondo, un ottimo solo di chitarra. Veramente pregevole il lavoro di batteria, degno di una conclusione molto sperimentale ed atipica.
“
Requiem For The Voiceless”: inizio recitato per un pezzo
contro i maltrattamenti sugli animali. Qui troviamo introduzione propriamente Doom con evidenti richiami a “
Forest Of Equilibrium”, anche se la voce non trascende nell'estremo e rimane comunque pulita. Un senso di claustrofobia avvolge il brano e l'incedere continua ad essere asfissiante e pesante, con la chitarra che allunga accordi lugubri e la batteria che scandisce il tutto con gran precisione. A metà canzone il tutto accelera, anche se il riffing rimane abrasivo e potente, donando al tutto un dinamismo non indifferente, sul quale si innesta un Dorrian potente e in ottima forma; segue un solo davvero bello e lineare. In seguito il Doom torna a farla da padrone e l'atmosfera si rifà di nuovo opprimente ed ipnotica, un mood oscuro che ci traghetterà verso la conclusione del pezzo, sicuramente il più Doom dell'album, capace di far felici tutti coloro che hanno amato alla follia gli esordi della band.
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Journey Into Jade”: inizio rapido e più “solare”, che rompe con la cupezza e la pesante della traccia precedente. L'andamento generale è molto anthemico e di facile presa, rendendo la song davvero gradevole. Poco dopo il terzo minuto parte un solo di chitarra pregevole, dinamico e d'impatto; il break centrale, recitato, è accompagnato da un incedere martellante e potente. Il brano di chiude in dissolvenza, ma se lasciamo dentro il disco scopriamo una parte nascosta in cui un troviamo un passaggio parlato e accompagnato da una chitarra distorta.
In
conclusione ci troviamo davanti ad un'uscita discografica imponente, che sfora gli
ottanta minuti di durata, un album d'altri tempi, quando la musica era meno “usa e getta” e ci si fermava molto di più ad assaporare ogni singola nota ed inflessione di un album, interiorizzandolo pian piano e senza fretta. Proprio per questo vi consiglio di ascoltare “The Guessing Game” con la dovuta attenzione, concedendogli il tempo necessario per mostrarvi ogni suo piccolo segreto; fidatevi, ne varrà sicuramente la pena!