Gli irlandesi
Waylander non sono sicuramente una delle formazioni più prolifiche tra quelle che popolano la scena Metal. E forse anche per questo li ho persi di vista dopo aver acquistato il loro esordio, "Reawakening Pride Once Lost", nel 1998.
Infatti, dopo quel primo
passo, hanno poi realizzato solo altri due dischi: "The Light, the Dark and the Endless Knot" del 2001 e "Honour Amongst Chaos" uscito dopo sette anni di silenzio, nel 2008.
Il nuovo "Kindred Spirits" giunge quindi dopo una pausa un po' più ravvicinata, con i Waylander che confermano quanto di buono avevano già messo in evidenza con il loro primo album, uscito in un momento in cui il Folk & Pagan Metal non aveva ancora attirato tutte quelle attenzioni riservategli poi più avanti negli anni.
"Echoes of the Sidhe" è la prima dichiarazione di una band indubbiamente in palla, una canzone scattante che tradisce sin da subito le origini celtiche del gruppo, per quanto siano
imbastardite da un approccio battagliero e spiccatamente Heavy, con il cantato di ArdChieftain O'Hagan che, pur variando poco o nulla dai
soliti registri, si conferma l'ideale per questo scenario: ruvida, declamatoria, non concede tregua e non farà prigionieri.
"Lámh Dearg" (forse tirata un po' troppo per le lunghe) e "Twin Fires of Beltíne" serrano ulteriormente i ranghi, anche se non mancano quegli strumenti tradizionali e quelle melodie che ne tradiscono i natali e le pulsazioni celtiche.
Per quanto nel suo prosieguo non sia poi foriero di chissà quali novità, "Kindred Spirits" è un album che ha dalla sua tutta la forza garantitagli sia dalla coerenza di questi musicisti sia dalla compattezza delle canzoni, ed i Waylander ce ne danno ulteriore conferma in occasione di una "A Path Well Trodden" dal passo spiccatamente Heavy e dove il mix tra Black e Folk trova il giusto equilibrio. Peccato per quel chorus fin troppo easy e
powereggiante che finisce per smorzare l'impatto di "Quest for Immortality" (ottimo però l'assolo di chitarra), ad ogni modo ecco che ci pensano prima "Erdath" ed infine la titletrack a dare il
coupe de grace finale, menando fendenti e mazzate (nonostante l'incipit acustico) a destra e manca.
Mi chiedo dove sarebbero potuti arrivare se solo avessero dato maggior continuità alla propria proposta.
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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