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Il Maniscalco Maldestro. E ancora una volta riesce a sorprendere, una qualità davvero rilevante in un periodo, ammettiamolo (nonostante la marea musicale che ci travolge quotidianamente!), di torpore generale in fatto di “nuovi stimoli”.
E’ cresciuto, il Maniscalco, non si accontenta di quanto ha fin qui realizzato (per quanto mi riguarda, degno di enorme considerazione) e vuole andare “oltre”, dimostrando di aver acquisito una nuova “consapevolezza” artistica e intellettuale e pure una certa “affabilità”, mai mancata, in realtà, e tuttavia oggi rilevabile in maniera ancora più convinta nella sua sempre iridescente e imprevedibile formula espressiva.
Insomma, se maturare significa progredire e se nel farlo si riesce
pure ad essere “comprensibili” per un numero più ampio di
musicofili, non c’è dubbio che i nostri abbiano raggiunto un nuovo importante
step evolutivo della loro avvincente parabola artistica, attuato con il ricorso a dosi imponenti di elettronica da aggiungere ad un
patchwork sonoro praticamente sconfinato, capace di attingere da
folk, hard, rock, free-jazz, funky, soul, punk, blues, pop, trip-dub-hop, lounge e dalla nostra migliore tradizione cantautorale con una disarmante disinvoltura ed efficacia.
In un contesto di grande creatività, l’ironia ruspante e caustica tipica del gruppo si fa più raffinata e concreta e la musica si trasforma in un singolare “esperimento” di vivace e felice convivenza tra Queen Of The Stone Age, Primus, Lodestar, Casino Royale, Beastie Boys, Led Zeppelin, RATM, Massimo Volume, La Crus, Urban Dance Squad e Subsonica, evocati solo per fornire un’idea approssimativa all’eventuale ascoltatore neofita che volesse (finalmente!) entrare in contatto con questo caleidoscopico universo.
A loro beneficio, a quello dei fedeli estimatori della band volterrana e pure per gratificare (un po’) la mia atavica urgenza comunicativa, tenterò a questo punto di offrire qualche indicazione sulle singole canzoni, avvisando, però, che si tratterà
verosimilmente di uno sforzo dagli esiti velleitari, tante sono, ancora una volta, le suggestioni suscitate dall’ascolto di “Ogni cosa al suo posto”.
“Ingresso” accoglie l’ascoltatore, proprio come fa intendere il suo titolo, in un ambiente minimale e tramite un ipnotico crescendo lo conduce in un clima straniante, preparandolo adeguatamente a “Tutto muore”, uno dei momenti
clou del disco: correnti di pulsazioni Zeppelin-
iane si scontrano con magnetici
loop e fruscii in ultrafrequenza, allorché escrescenze di
rootsy-rock americano affiorano tra i flutti … davvero elettrizzante.
“Urla urla”, l’amniotica “Questa sera” (in entrambe contribuisce il
rapper albanese Xhulian Kuqja) e la
title-track solcano con autorità i territori
crossover, in “Esco di meno” e nella spigliata
quisquilia (citazioni di “Wannabe” delle Spice Girl e “Summer nights” dal film “Grease”, comprese …) “Amore sposami” aumenta il
grip “commerciale”, per la felicità degli estimatori delle contaminazioni “a presa rapida”, “Accendo la TV” rallenta i toni e aggiunge un suggestivo scenario Tarantin
esco all’avvincente panorama sonico, mentre “Un passo avanti” è il segno inequivocabile di come lo storico (magari latente) antagonismo tra
rock e canzone d’autore sia stato ampiamente superato da una generazione di musicisti in grado di tradurre in forma “libera” e “emancipata” tutte le sue diverse influenze.
“La stoffa del campione” rappresenta il cordone ombelicale con i “vecchi” Il Maniscalco Maldestro, e sebbene la stralunata melodia portante (qualcosa tra Think Tree ed Elio e le Storie Tese …) risulti alla fine abbastanza riuscita, probabilmente “quei tempi” non sono più del tutto rappresentativi e confacenti alla sua contingente personalità, che si ritrova negli inebrianti vapori
esotici (in una linea ideale che unisce nord-Africa e Balcani) di “Colpi bassi”, sofisticata e diretta al tempo stesso, e nella crepuscolare atmosfera parigina di “Vento caldo”, pregna di sensualità e poesia.
“Uscita” ci riporta, in una sorta di percorso orbitale, esattamente dove avevamo iniziato questo “viaggio”, ma il vero epilogo è garantito dall’emozionante “Il mondo diviso”, un malinconico e liquido tessuto armonico, presente anche in versione esclusivamente strumentale, su cui in questo caso si adagia la voce recitante di Riccardo Goretti della compagnia teatrale Gli Omini … Emidio “Mimì” Clementi apprezzerebbe, credo.
Segnalando, in conclusione, l’eccellente lavoro svolto dagli ospiti dell’albo non ancora menzionati (Edo Rossi, Gianluca Bartolo de Il Pan Del Diavolo, Alessandro ‘Finaz’ Finazzo della Bandabardò, Andrea Cerone e la sua fremente armonica, …), non posso che accogliere con entusiasmo l’immagine presente del Maldestro Maniscalco … lo sguardo non è più quello di un beffardo “burattino”, ma di un ironico e sagace osservatore (attivo) dell’umanità prossima all’implosione, costantemente alimentato da un’incontenibile libertà espressiva a 360°, aperta a continui mutamenti.
Godiamo dell’attuale “stato dell’arte” e attendiamo i prossimi ineluttabili sviluppi …