Quando volgiamo lo sguardo al passato nella ricerca dei lontani padrini del moderno heavy metal è opportuno soffermarsi sull’Inghilterra della fine degli anni ’60, periodo fremente di stimoli artistici ed intellettuali che contribuiranno in modo decisivo allo sviluppo della società come oggi la conosciamo. Tra la miriade di gruppi dalla diversa impostazione rifulge il nome degli
Atomic Rooster del tastierista Vincent Crane, ancora adesso segnalati da giovani formazioni underground come uno dei più influenti dell’area hard rock e, se vogliamo, proto-heavy metal. Nati nel 1969 dalle ceneri del Crazy World of Arthur Brown (quelli di “Fire”) per merito di Crane e del batterista Carl Palmer, gli A.R. pubblicarono l’anno successivo il loro disco di debutto ottenendo subito un successo di culto in patria. All’indomani però di questo primo lavoro Palmer viene reclutato da Keith Emerson per formare uno dei più famosi trio della storia rock (E.L.P.) ed anche il bassista Graham decide di prendere una strada diversa. Crane non demorde e prosegue con l’aiuto del chitarrista John DuCann, il quale in seguito lavorerà con Status Quo e Thin Lizzy, e del batterista Paul Hammond pubblicando il seminale “Death walks behind you” che fa volare la popolarità del gruppo. Ed arriviamo al 1971 ed a questo “In hearing of..” un vibrante concentrato di hard music in grado di sfidare le contemporanee opere di Deep Purple, Uriah Heep, Free, E.L.P.,ecc. Alcuni esperti hanno definito questo disco come un primo esempio di stile metallico prendendo spunto dal graffiante riff di “Head in the sky”, la canzone più dura dell’album con uno smagliante Cann in evidenza e sull’analogo livello dello strumentale “The rock”, giocato sul dualismo tra la lead guitar e l’organo di Crane ai quali si aggiunge una sezione di fiati non invasiva che contribuisce a far lievitare il tasso di groove del brano. Ma è forse eccessivo parlare di metal ante-litteram, meglio considerarlo più giustamente uno splendido prodotto di hard rock “classico” come la nitida analogia di “Black snake” con i Purple di “Child in time” lascia supporre. Una song vellutata, magnetica, una lenta spirale che racchiude il tocco magico dei musicisti di gran classe. “Classico” è anche il talento di Crane, meno funambolico di un Emerson o un Wakeman, ma capace di creare magica atmosfera jazzata con uno stupendo arrangiamento pianistico nell’opener “Breakthrough” o di duettare in modo roccioso con Cann in “Break the ice”, dove risulta efficace anche la voce di Pete French, non certo straordinario per i canoni dell’epoca. Canzoni di grande spessore che non hanno forse ottenuto il riscontro di successo di altre formazioni similari ma che risentite oggi mantengono intatta la loro bellezza e la loro ispirazione. Da segnalare, comunque, che il singolo “Devil’s answer”, presente in questa ristampa come bonus-track ma appartenente al precedente LP, raggiunse il secondo posto nelle charts inglesi segno di un interesse del pubblico senz’altro meritato. Per coloro che amano le storie complete diciamo che dopo questo disco vi fu una svolta musicale orientata verso il funky-rock che non piacque affatto ai vecchi fans. Il loro distacco decretò praticamente la fine degli Atomic che avvenne intorno al 1974. Crane continuò la sua carriera mediante svariate collaborazioni, tra le quali quella con il vecchio partner Arthur Brown ed un’altra con il mitico Ginger Baker di fama Cream. Ma l’impatto del tastierista con gli anni ’80 fu il più disastroso possibile. In preda ad un’insuperabile crisi depressiva, Vincent Crane (vero nome Vincent Cheesman) si tolse la vita a Londra il 14 febbraio 1989, giorno di San Valentino. Fine della storia.
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