Australiani, gli
Arbrynth sottopongono alla nostra attenzione il loro primo album, dove convogliano le proprie voglie ed influenze che sembrerebbero toccare tanto il Folk quanto il Symphonic Black Metal.
E' comunque subito evidente come l'intento degli Arbrynth non sia quello di annichilire e spazzare via l'ascoltatore, quanto di imprigionarlo in una tela tessuta di malinconia e di oscurità.
L'album, che si compone di sette canzoni che si aggirano sugli otto minuti di durata, è, infatti, un susseguirsi di chitarre distorte ed insistiti passaggi acustici, di accelerazioni e bruschi rallentamenti, dalle tristi melodie e vive sul contrasto tra il cantato in growl e delle voci più eteree (sia femminili sia maschili), come ben testimoniano, ad esempio, "Amidst the Ruin" o "Black Veil".
Certo, non mancano momenti celtici come all'inizio e sul finale di "Blood Red Skies" oppure il contesto acustico che sorregge "Words of the Wind", certamente necessari per variare le composizioni, un aspetto sul quale si potrebbe fare ancor meglio, con un po' di energia e coraggio in più, come avviene con "The Raven", l'episodio più riuscito dell'album.
Pur insistendo un po' troppo sulle stesse situazioni, gli Arbrynth hanno realizzato quello che si rivela un discreto lavoro. In futuro faranno sicuramente meglio, ma meritano sin da ora di attirare su di se maggiori attenzioni.
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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