Steven Rice e Wayne DeVecchi (Imagika), Roberto Proietti (Eldritch), Danyael Williams (Dark Angel) e Josh Gibson, con Andy LaRocque (King Diamond) dietro al mixer. Quando ho saputo di questo progetto, devo dire che ero moderatamente interessato a sentire il risultato dell’unione di questi validi musicisti, anche perché l’ambizione era quella di portare il sound thrash old school a contaminarsi con generi e suggestioni diverse. Obiettivo sicuramente difficile da raggiungere. E infatti non è stato raggiunto. Almeno, non in pieno.
Sicuramente la base del disco è un thrash metal puro e maligno, di quelli che ti rimettono in pace con te stesso e che ti ricordano perché ami tanto questa musica. Ma poi arriva tutto il resto: elementi power, classic e perfino progressive, che invece di arricchire il suono lo mortificano. Il motivo è presto spiegato: qui dentro si è voluto esagerare. Nessuno vieta (anzi, ben vengano!) le sperimentazioni e le contaminazioni, ma vanno fatte con un minimo di raziocinio, altrimenti si rischia di apportare così tante variazioni al tema di fondo che l’ascoltatore finisce per perdersi ben presto in un mare di noiose ricerche del celebre “fil rouge”. Dunque il passaggio nello stereo di questo The Serpentine Ritual finisce per diventare una rincorsa disperata alla comprensione di brani troppo complicati e senza un apparente senso pienamente compiuto. Non è un problema di tecnica, né di produzione, che anzi eccellono, è proprio una questione di songwriting, che deve essere affinato, migliorato e reso fruibile al grande pubblico. Essendo un debut album, la sufficienza è raggiunta, ma spero in futuro di sentire passi avanti, perché è doveroso aspettarseli dalla gente che sa suonare.
Provateci, ma servono tanti ascolti e tanta pazienza. Di sicuro gli elementi interessanti non mancano, ma dovete avere voglia di cercarli.
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