Nuovo disco per i
Pride Of Lions. Titolo “Immortal”. Recensione “difficile”.
Cosa si può dire di “utile” e (vagamente) “intelligente” su un gruppo del genere?
Su una band che tutti i fans dell’
AOR conoscono (ne sono certo …) perfettamente, edificata sul talento monumentale di un venerabile del
Rock del calibro di Jim Peterik e sulle vertiginose doti tecniche di un cantante come Toby Hitchcock?
Nulla che possa in qualche modo “sorprendere” chi li ama o far cambiare idea a chi li considera l’espressione “superata” e retorica di un certo modo di fare musica che, obiettivamente, ha subito minime variazioni nel corso degli anni.
E quali parole usare per commentare la loro quarta fatica discografica, l’ennesimo gioiello di una carriera impeccabile, consacrata ad una forma melodrammatica e magniloquente di
rock adulto, una rara combinazione tra l’arte
radiofonica di Survivor e Toto e rifrazioni dell’enfatico approccio compositivo di un Jim Steinman?
Anche qui, e per ragioni analoghe alla considerazione precedente, non
moltissimo, in realtà, e questa situazione, come sa bene chi mi conosce, m’
indispone non poco.
Beh, però, come m’impone il ruolo di “bravo recensore”, qualche cosa “bisogna” scriverla e allora segnalo che rispetto al passato si avvertono impercettibili flessioni nella “intensità emotiva” di alcuni componimenti, (avvertibili soprattutto perché da uno come Peterik ci si aspetta sempre la massima opulenza sensoriale!), e aggiungo che, in quest’ottica, la scelta di un singolo “apripista” come “Delusional”, non straordinariamente accessibile e anche un po’ “epidermico”, non sembra la maniera più efficace per spedire in
orbita un albo che invece, nonostante talune lievi “zavorre”, è proprio lì che è diretto.
A pilotarlo verso tale ambita destinazione ci pensa l’ugola esplosiva di Hitchcock, una “roba” capace di dissimulare le eventuali piccole “magagne” e che mi consente di sottolineare quanto sia importante e spesso
ottenebrante il potere “estensivo” di un registro vocale, in misura certamente superiore di quello interpretativo, per quanto mi riguarda l’autentica “cartina al tornasole” di una prestazione canora.
Per fortuna il buon Tony non difetta nemmeno in quest’ultimo “fondamentale” ed ecco che quando il suo prezioso organo della fonazione modulata incontra (con il contributo di quello altrettanto “educato” dello stesso Peterik) stesure davvero degne della migliore tradizione del genere, la “magia” diventa assoluta e attanagliante: “Immortal”, “Tie down the wind”, la travolgente “Coin of the realm”, "Vital signs” (
oibò, questo titolo non mi è nuovo …) e "Ask me yesterday” sono affreschi di grande suggestione “cinematografica”, mentre quando il baricentro sensorio si sposta in territori più romantici e orchestrali nascono "Everything that money can’t buy”, "Sending my love” (Cristopher Cross
meets Survivor!) e “Are you the same girl” (una specie di replica targata 2012 a “I'm not that man anymore” …), momenti di palpitante empatia, il tutto caratterizzato da quel delizioso alone di
kitchness ottantiana che tanto ci piace e allo stesso modo indispettisce gli irriducibili “modernisti”.
Insomma, alla fine
qualcosina (ne andava della mia reputazione di
grafomane eh, …), spero almeno non
completamente superflua, anche in quest’occasione, sono riuscito a raccontarvela, se non altro per rassicurare contemporaneamente estimatori e detrattori del “dinamico duo” statunitense: “Immortal” non apporta modifiche “fondamentali” alla consolidata cifra stilistica ed espressiva dei Pride Of Lions … a voi decidere il segno (positivo o negativo …) della prevedibile informazione.