Dire che i
Magnum sono una band sottovalutata è pure poco. Per qualità e livello qualitativo medio, in una carriera che si avvicina a quota 50 (anni), il gruppo inglese meriterebbe tranquillamente di stare nell'Olimpo di nomi leggendari quali
Deep Purple o
Led Zeppelin. Quando si parla di loro, infatti, dimenticate immediatamente dati di vendita o classifiche perché, mai come in questo caso, successo ed eccellenza si rivelano essere le famose convergenze parallele. Poco importa, sui gusti della massa non è lecito sindacare, dato che si vedono spesso nullità assolute svettare tra le preferenze generali. Quello che ci apprestiamo ad esaminare è il settimo album dei Magnum, che li trascina incredibilmente nella top 10 inglese: un "premio" minimo, soprattutto dopo aver inanellato un classico dopo l'altro, in una sequela di dischi imperdibili.
Il momento della "svolta" resta quello del capolavoro "
On A Storyteller's Night" (1985), quando
Tony Clarkin e soci decidono per la prima volta di mixare il loro suono epico e pomposo a gradevoli incursioni in territorio AOR/melodic rock. L'esperimento si ripete, persino in modo un pò sbilanciato (verso queste ultime) nel meraviglioso "
Vigilante", così "
Wings Of Heaven" arriva a puntino per ristabilire determinate gerarchie nelle coordinate stilistiche dei Magnum. Il perfetto punto di incontro tra i due lavori precedenti? Assolutamente si, senza ombra di dubbio. Ne sono la testimonianza brani di rara immediatezza, eppure pregne di enfasi eroica, come la strepitosa opener "
Days Of No Trust", con quella chitarra che ondeggia tra bellissime armonie ed arpeggi "illuminanti". Oppure "
Wild Swan", con un riff colorato di hard blues che mister
Coverdale sarebbe stato felice di comporre per i suoi
Whitesnake versione "class metal". La leggiadria di "
Start Talking Love" è un altro tassello di maestria di scrittura ed arrangiamento da parte di Clarkin; brano dalle linee melodiche letteralmente sublimi, che proiettano
Bob Catley nel gotha dei cantanti AOR di quel magico periodo.
A gentile conferma del postulato, ecco concretizzarsi la regale ballad "
Must Have Been Love", con i Magnum sulle orme dei
Journey, senza nemmeno troppi giri di parole, ed il cantante inglese nella scia di
Steve Perry. Il rock pomposo di "
Just Like An Arrow", indimenticabile episodio "straight to the heart" del masterpiece "On A Storyteller's Night", torna a farsi redivivo in "
Different Worlds", senza peraltro sfigurare affatto rispetto al glorioso passato. Anzi, guadagnandone in termini di cristallina produzione.
Otto brani perfetti, nemmeno una nota fuori posto o parti ridondanti, caratteristica dei grandi dischi anni 80, che puntavano non tanto alla quantità, ma alla qualità. "
One Step Away" suona sognante e sorniona, "
Pray For The Day" viene sorretta da favolose geometrie melodiche, mentre la conclusiva "
Don't Wake The Lion" è un tour de force di dieci minuti che riassume la filosofia artistica del gruppo, mixando perfettamente urgenza ed enfasi eroica.
I Magnum ritenteranno con convinzione ancora maggiore, ed una decina di possibili smash-hits, la carta d'imbarco per gli USA (destinazione Billboard charts) con lo strepitoso "
Goodnight L.A.", che uscirà nel 1990. Giusto in prossimità di un drastico cambio di gusti e prospettive, con cui l'industria discografica affosserà tutta l'iconografia e la sostanza Eighties, sovvertendo completamente l'immaginario collettivo.
Un colpo di spugna calato dall'alto che non scalfisce minimamente la determinazione del gruppo, dato che i Magnum continueranno nei decenni successivi a proporre musica inedita con ritmo invidiabile ed incessante, garantendo sempre un alto livello qualitativo.