I
Chowder sono una band statunitense nata nel lontano 1992, ma che finora aveva pubblicato soltanto un demo ed un Ep. Adesso è finalmente tempo di un vero album d’esordio, lavoro interamente strumentale.
Tra i componenti del gruppo troviamo Josh Hart, in forza agli Earthride come bassista ma qui impegnato alla chitarra e alle tastiere. I temi proposti nel disco comprendono linee doom, geometrie math-rock, cenni progressivi e qualche passaggio psycho/ambient. Ma in generale, l’influenza primaria è quella di un rock dalle sfumature ombrose, tecnicamente articolato e con retrogusto lievemente settantiano. Restando nell’ambito delle band strumentali, la formula del trio americano risulta meno spigolosa e cerebrale rispetto ai Don Caballero ma anche meno irruente e nervosa di Karma to Burn o Stinking Lizaveta.
La maggior parte dei brani è compatta e ben delineata: un insieme di chitarrismo dinamico e graffiante, tempi sostenuti, aperture psichedeliche e qualche sottile intervento delle tastiere, il tutto sostenuto e legato dalla elasticità della sezione ritmica. Le cose più personali ed interessanti vengono comunque dalle due tracce estese e corpose, “Passion rift” e “Custody”. Lunghi percorsi nei quali i Chowder liberano la loro creatività, immergendosi in dimensioni maggiormente oniriche ed ambiziose. Le strutture diventano malleabili, aprendo spazi al groove, ai toni liquidi, alle spirali solistiche e alle atmosfere sognanti, in maniera assai più compassata ed elegante di quanto ci si aspetterebbe, visto il background musicale degli interpreti.
Come tutti i lavori unicamente strumentali, la difficoltà sta nel rendersi accattivanti, credibili e soprattutto non tediosi, rinunciando all’apporto delle parti vocali. Questa formazione ci riesce, senza rifugiarsi dietro ad astrazioni complicate e rendendosi appetibile a chi apprezza questo tipo di produzioni.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?