In tutta sincerità, avessi scritto questa recensione dopo il primo giro di lettore non sarebbe stata così benevola nei confronti degli
Ashent: il famoso ed abusato tormentone "
cresce con gli ascolti" interviene in nostro aiuto ma fino ad un certo punto dato che per il terzo lavoro in studio della band veneta non possiamo certo parlare di disco ispiratissimo.
Dopo il mega ribaltone che ha visto la lineup rivoluzionata a parte la presenza dei
Falanga bros c'è stato anche un leggero cambio di sonorità, senza parlare di stravolgimento: diciamo un ammorbidimento, meno pedale sull'acceleratore, growl inesistente e partiture scevre da quelle componenti thrash/death e questo, lo diciamo con onestà, rappresenta a dir poco un bene dato che un disco come "
Deconstructive" a nostro avviso era molto rovinato da una padronanza di stili di cui la band al momento non era in possesso e quindi non possiamo che lodare questa scelta.
Tuttavia, nonostante l'elevatissimo tasso tecnico e fantasia di cui i nostri sono dotati, manca quell'amalgama e quella scintilla in grado di fare la differenza, lasciando un senso di coitus-interruptus per brani che sono buoni ma che avrebbero potuto dare molto di più: sono esenti da tali constatazioni pezzi come "
Fractural" e "
Magnification of a Daydream" (più easy listening ed accessibile in cui chiudendo gli occhi sembra di ascoltare dei
Vision Divine era Luppi molto più progressivizzati), ma più di una volta ci si gira interdetti verso lo stereo per soluzioni ed accostamenti che risultano troppo forzati e poco armoniosi.
La voce di
Tani, ex singer dei
DGM e batterista di altre 600 bands, rappresenta una garanzia ma forse non è grintosa ed imponente come già ascoltata tante volte negli anni addietro, ma d'altronde "
Inheritance" è un disco a fari spenti, dal tono quasi dimesso, ma che saprà regalare momenti molto apprezzabili dai fans del progressive più marcato.
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