La Surfdog è un’etichetta discografica che fa dell’eclettismo una propria peculiarità: nel suo catalogo, infatti, attualmente, possiamo trovare gruppi che propongono stili musicali molto diversi tra loro: si va dal rockabilly swingato di Brian Setzer, all’hip hop di Pato Banton, dal pop rock degli Echobrain, al metal cangiante dei canadesi Voivod (tanto per fare degli esempi) fino a questi Jackpot. La band in questione si presenta sotto i migliori auspici, se dobbiamo dare credito alla stampa americana, che definisce i nostri come “…una delle migliori band californiane ancora sconosciute …” o “… un affascinante mistura di pop vecchio stile e di lirismo rurale …” o ancora “uno dei gruppi più interessanti emersi dalla scena nord californiana degli ultimi anni”.
Stiamo parlando di giudizi espressi da autorevoli testate come il New York Times, il San Francisco Examiner e il San Francisco Chronicle e non da un gazzettino di provincia qualsiasi. La discografia dei Jackpot consta di altre tre releases: il quattro tracce “Boneville” del ’96, “Weightless” del 2000 e “Shiny things” del 2002.
Il suono offerto dalla band statunitense è effettivamente una miscela molto particolare di rock anni ‘70, alternative, country, blues, e tipico stile cantautorale americano, il tutto shakerato con discreta maestria ad ottenere un ibrido che evita la banalità senza essere troppo cervellotico.
“Adventures in galore” apre l’album in maniera molto positiva, ricordando in parte alcune sonorità presenti negli episodi più rilassati di gruppi come i Queens Of The Stone Age o i primi Master Of Reality, per la capacità di trattare il roots rock americano mescolandolo a suoni più moderni, con la voce del cantante Rusty Miller in bella evidenza. Questa track sarà in ogni caso l’unica nella quale è possibile rintracciare questi riferimenti, poiché già dalla successiva “Upside down” si cambia completamente registro, e la canzone ricorda le ballate tossiche dei Velvet Underground o del Lou Reed solista, con Rusty a rammentare la vocalità del mito newyorchese; questo approccio vocale ritorna anche un po’ in “Black road” dove però si segnala anche la presenza di una tastiera e di coretti d’ispirazione sixties e nella ballata chitarristica “Airplane and secrets” nella quale si evidenzia anche un buon lavoro di basso a sostegno di una traccia molto interessante. “Vaccine” si dimostra, invece, come una rilevante ballad vagamente psichedelica. Come dicevamo in precedenza, il country è un altro elemento importante, nell’economia del sound di questi Jackpot, e se in “Headlight” esso è fuso con sonorità un po’ più alternative (soprattutto nel finale), in “Euphoria” si manifesta in maniera ancora più evidente, risultando leggermente ostico a chi non è avvezzo al genere. “Windshield wipers” è nuovamente una traccia da segnalare, che mescola approccio cantautorale con suoni pop/rock più moderni, con rari interventi elettronici e supportato da un bellissimo refrain. “When we get together” è una traccia veramente atipica, con i suoi effetti elettronici e l’incedere ritmico vicino al dub, sul quale s’inseriscono echi free jazz e un sound chitarristico mutante, mentre la magistrale “Dizzy” evoca atmosfere cinematografiche care a registi come David Lynch o Quentin Tarantino, ricordando, soprattutto nei suoni di chitarra anche bands come i Madrugada di “Industrial silence”. Il maggiore potenziale commerciale risiede nella splendida “If we could go backward”, dall’andamento sicuramente più energico e con le sue tastiere “orchestrali” di sottofondo. Da citare, infine, la ballata pianistica “Charlie Watts is god” sia per il valore intrinseco sia per il fantastico titolo!
Confusi vero? Beh, niente paura credo che sia una reazione abbastanza normale …
Questo “F+” è un album che non può essere affrontato in modo affrettato o superficiale e per poter apprezzare il particolare sound dei Jackpot è necessaria una ripetuta applicazione all’ascolto. Sono convinto che se saprete osare, non potrete che apprezzare le atmosfere soffuse, le melodie notturne e il particolare meltin’ pot dei californiani ... e poi in fondo non si vive di solo metallo … o no?
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