Quinto lavoro per i
Ruins, ormai realtà consolidata del panorama estremo della Tasmania, loro terra di provenienza, ammesso che ne esista uno di panorma in una terra così lontana nella geografia del metal.
"Place of No Pity" è un album compatto, non particolarmente violento ne particolarmente melodico, che non aggiunge e non toglie niente a quanto già detto dal gruppo nel passato e che non presenta spunti di particolare interesse.
Il black metal dei
Ruins, fortemente debitore della lezione impartita dai
Celtic Frost di
"To Mega Therion" e dei
Satyricon di metà carriera, è piuttosto canonico, muovendosi in un solco "sicuro" e gia ampiamente battuto.
Chitarre serrate e spesso dissonanti, batteria precisa e mai troppo veloce, vocalizzi alla
Tom Warrior, un'atmosfera oscura ma non troppo, un suono moderno e piuttosto asettico, sono gli ingredienti di un lavoro come ce ne sono tanti.
L'unico "spunto" che trovo nella musica dei nostri è la loro provenienza "strana" mentre per tutto il resto in giro c'è tanto di meglio.
Con questo non voglio assolutamente dire che
"Place of No Pity" sia un disco da buttare: l'album è ottimamente suonato, gode di una buona produzione e ci offre brani tutto sommato piacevoli da ascoltare, come l'ottima title track dagli interessanti intrecci delle sei corde o
"Desolation"che, come da titolo, ci offre una spiazzante ambientazione triste e depressa, ma se dovessi consigliarvi di acquistarlo, beh vi suggerirei di investire, qualora non gli aveste, nei dischi dei gruppi che hanno ispirato i
Ruins oppure di cercare meglio in Australia che è terra piena di ottime band black metal.
A mio avviso trascurabili ma tutt'altro che brutti.
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