Nel 2010, parlando del precedente lavoro degli iraniani
Angband, pur mettendone in luce i limiti, avevo speso parole di incoraggiamento per un progetto coraggioso e difficile. A distanza di un paio d’anni, la parte storico/socio-politica della band la si può anche trascurare, entrando nel merito di un disco clamorosamente brutto.
Siamo sempre alle prese con un heavy classico, che qui lascia un po’ le sfumature power/prog e rallenta vistosamente. Quello che traspare stavolta, però, è un enorme senso di approssimazione: nei suoni, nel songwriting, per non parlare delle capacità tecniche, che sembrano peggiorate invece di migliorare.
All’interno dell’album ci sono anche passaggi sconfortanti in cui sembra di avere a che fare con dei quindicenni alle prime armi. Batterista orrendo, cantante sempre più anonimo, chitarristi imprecisi, bassista che non si sente mai a dovere. Va bene la produzione scarsa, ma qui di scarso c’è anche tutto il resto. Questa volta assolutamente non ci siamo, un preoccupante passo indietro.
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