NOTA: questa recensione non vuole avere la pretesa di considerare tutte le variabili possibili sulla faccenda presa in considerazione, ma è solo il frutto di una profonda riflessione e di ricerche maturate in anni di passione per questa musica.Uno dei commenti sul tubo in calce a questo disco recita
:” for me, this shit is as legendary as keepers”, io replico che sono d’accordo.
Era il 1985, si avete capito bene, il 1985, quando una band di adolescenti brasiliani ispirati dalla NWOBHM, e dal repertorio classico (frequentano quasi tutti il conservatorio) decidono di formare un gruppo metal e chiamarlo
Viper. Ora non vi devo spiegare che fare una cosa del genere in Brasile nel 1985 non fosse proprio la pensata più semplice del mondo, ma i ragazzi in questione capeggiati dal quattordicenne, si avete capito bene, quattordicenne, Andrè Matos, hanno tutti gli attributi che gli fumano a dovere.
Ora attenzione a questo passaggio. Quasi contemporaneamente dall’altra parte dell’oceano, nelle terre fredde della Germania cinque ragazzotti amanti della notte di Halloween esordivano con il loro primo leggendario EP e nello stesso anno con il loro full lenght Walls Of Jericho. Cercate di capire che nel 1985 internet non esisteva, almeno come mezzo di comunicazione globale, una notizia per passare da un continente all’altro aveva bisogno di tempo, non era immediata come oggi, le fonti in questo caso potevano essere radio locali specializzate, il passaparola o una cassetta registrata da un amico, ci volevano giorni, forse mesi a volte per percepire una novità, fatto stà che i Viper entrano in contatto con la musica degli Helloween, rimangono folgorati, la direzione da intraprendere era tracciata. Però i cinque hanno un’intuizione che alle zucche di Amburgo non era venuta e qui si gettano i semi di una importanza colossale per tutta l’evoluzione del metal classico. Ricordate che prima vi ho detto che i cinque venivano dal conservatorio? Bene, decidono di inserire nel tipico sound dei Maiden, la velocità delle zucche e elementi presi dalla musica classica. Non orchestrazioni, badate bene, ma elementi classici all’interno della partiture metal, nelle chitarre, nel basso e nella batteria. Di fatto danno il battesimo ad un movimento che esploderà pienamente nei ’90, movimento che si farà ispirare in maniera determinante anche dal Neoclassicismo del maestro nordico Malmsteen.
Ora attenzione a quest’altro passaggio. Maggio 1987, la carriera degli Helloween procede spedita come non mai e dopo aver reclutato in formazione un giovane fenomeno a nome Michael Kiske, danno alla luce proprio il primo dei due Keeper, per molti l’atto di nascita di un nuovo modo di intendere il metal classic. Dall’altra parte dell’oceano, sempre Maggio 1987, i nostri eroi brasiliani riescono finalmente a produrre in realtà tutti i loro sogni e la loro visione della musica, infatti esce il primo frutto di tale commistione sonora, Soldiers of Sunrise, che possiede un suono più grezzo rispetto al primo Keeper (ma i mezzi a disposizione erano in questo caso di gran lunga inferiori) ma incredibilmente(ricordate il discorso del tempo/notizia?, questa volta l’influenza è nulla) ne ricalca lo spirito e aggiunge come detto in precedenza quel tocco di vero classicismo in più che manca alle zucche. In pratica due banconote uguali con lo stesso numero di serie ed entrambe ORIGINALI. Soldiers of Sunrise sfiora di mezzo centimetro il capolavoro. Nel 1988 la band di Amburgo completa il suo discorso verso la gloria con l’uscita del Keeper 2 (che comunque era già stato quasi tutto scritto ai tempi del primo, visto che originariamente doveva uscire come album doppio). I nostri, nella terra della samba avrebbero avuto questa volta il tempo di poter essere influenzati da questa uscita, inaspettatamente invece continuano il discorso cominciato con Soldiers of Sunrise, puliscono il suono, amplificano al 200% le partiture classiche e hanno la genialata di inserire anche forti elementi prog. Il risultato di tutto questo lavoro vede la luce nel 1989 ed è il qui recensito Theatre Of Fate e stavolta lo centrano in pieno il capolavoro, anzi centrano un capolavoro assoluto artistico, nonché un album che è a tutt’oggi uno snodo di importanza storica fondamentale per la nostra musica. Era nato il moderno power metal.
L’album è distribuito sia in Europa che in Usa, ma è in Giappone, tradizionalmente paese sensibile al vento del cambiamento, che i risultati di vendita sono straordinari, i Viper raggiungono i vertici delle classifiche del Sol Levante affiancandosi a band come Van Halen e Nirvana. Cosa aveva colpito cosi tanto quei giovani metallers? Sicuramente quel nuovo modo di suonare metal, aggressivo, veloce, ma al contempo raffinatissimo, dal suono pulito e dalle partiture che ricordavano il passato più classico della musica tutta. Brani come At Least A Chanche e To Live Again erano la rappresentazione perfetta di tutto questo. Il disco guardava anche al classico metal maideniano di A Cry From The Edge e Living For The Night, ma dove i nostri si distanziarono da tutta la scena contemporanea fù con il trittico di brani finali, vero e proprio battesimo di tutto un nuovo genere. La title track è e rimane per chi scrive il pezzo più bello di tutto il power metal mondiale, dove tutte le tensioni dei Viper, le loro esperienze, il loro amore per la musica trovano un’ideale porto in cui ancorare. La prestazione di Matos in questo brano ha quasi dell’ultraterreno, forse anche in questo caso la miglior prova canora del genere, ma un po’in tutto il disco il diciottenne talento carioca è autore della più bella prestazione della sua vita. Ancora meglio degli album che l’hanno reso poi famoso? Per me si, perché dopo si concentrerà troppo ad affinare il suo talento cristallino, dando un enorme risalto alla parte estetica della voce, tralasciando quella emozionale e aggressiva che invece in Theatre Of Fate trovava la sua piena e matura espressione.
Questo edonismo di Matos, fù anche al fine dei Viper come band straordinaria, infatti dopo il successo ottenuto il bravo Andrè ebbe l’idea di approfondire i suoi studi musicali con l’intento di ampliare ancora di più il suo talento. Volò in Germania (guarda caso), per finire la sua formazione come musicista e cantante, e quando poi tornò in Brasile i suoi Viper, ormai in mano ai fratelli Passarell, avevano cambiato direzione artistica e lui fù costretto alla formazione di una nuova band che prendeva il nome da un’antica dea brasiliana, Angra, e la storia da qui in avanti la conoscono proprio tutti.
La storia dei Viper e di questo eccezionale platter, sono la dimostrazione che talento, forza di volontà, determinazione anche in un contesto sfavorevole e senza neanche possedere troppi mezzi, sono l’arma in più anche per riuscire a far cambiare l’ordine naturale delle cose e imporre al mondo un nuovo modo di pensare. Loro nel microcosmo del metal, a mio modestissimo parere, ce l’hanno fatta, che sia una lezione da imparare anche per risolvere le problematiche ben più serie che attanagliano il nostro vecchio mondo? Ricordiamo che la tensione verso la perfezione parte sempre da dentro di noi.
A cura di Andrea “Polimar” Silvestri