A ben cinque anni da “Alchemist”, ecco l’atteso nuovo lavoro di una formazione molto amata in ambito “neo-old”: i
Witchcraft.
La prima sorpresa è che esce per Nuclear Blast, label per cui la parola “vintage” è poco più di una bestemmia. Infatti tutto suona molto pulito e precisino, pur se l’impostazione seventies della band rimane almeno nell’atmosfera generale. Poi c’è da segnalare il profondo rimpasto della line-up voluto da Magnus Pelander: rispetto al capitolo precedente è rimasto solo il bassista Henriksson e le chitarre sono salite a due, permettendo al leader di concentrarsi sul cantato.
Troppe novità insieme, per non incidere in qualche modo. Ora i riff appaiono più heavy, i brani possiedono una potenza che prima appariva solo in embrione, mentre in cambio è stata molto ridotta la componente folk/prog che aveva segnato i primi tre album. Dunque hanno cercato uno stile più concreto, tosto, epidermico, rimanendo comunque fedeli a sé stessi.
Ci sono riusciti? In parte. La prestazione del vocalist è di primissimo livello, a tratti sembra una sorta di neo-Plant visto che qualche traccia mostra vibrazioni zeppeliniane. Per esempio “It’s not because of you”, singolo più ammiccante del solito forse per accontentare la nuova etichetta, che ha già creato spaccature tra i fans della prima ora. Ed i nuovi arrivati nel gruppo non fanno rimpiangere più di tanto i partenti, perché la prestazione strumentale è ancora di ottimo livello.
Certo gli aspetti romantici ed incantati hanno lasciato il posto ad una ritrovata attitudine doomy, vedi il puro stile sabbathiano in “Deconstruction” e nella triste ed appassionata “An alternative to freedom”, ma la fragranza del songwriting non è affatto diminuita.
Si può ancora dire dell’elegante groove di “Ghosts house”, con tocchi di raffinata classe, e del lungo gioiellino “Dead end” che rispolvera l’atmosfera seventies dei primi lavori.
Sinceramente non trovo giustificate le solite accuse di “borghesizzazione” e “commercialità” nei confronti del gruppo scandinavo. E’ normale che dopo cinque anni vi possa essere qualche cambiamento nello stile del gruppo, ma non mi sembra abbia stravolto così tanto la sua proposta. Senz’altro Pelander e soci hanno puntato su qualcosa di meno sofisticato e più robusto, però l’incedere sornione e gli spazi riflessivi sono ancora presenti. In sostanza le canzoni rimangono pienamente targate Witchcraft.
Piuttosto parlerei di lavoro di transito, di trasformazione, sicuramente bello ma interlocutorio. La prossima prova chiarirà meglio in quale direttrice si svilupperà il futuro della formazione. Speriamo solo di non dover attendere altri cinque anni per saperlo.
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