Copertina 5,5

Info

Anno di uscita:2004
Durata:63 min.
Etichetta:Ulftone
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. COUNTER-CLOCK WORLD
  2. EMPIRE ONE
  3. ONE IN MY HAND
  4. TIGHT
  5. WHITE DIRT
  6. PURPLE HEARTS
  7. AMERICAN FORK
  8. BOUNCING VERY WELL
  9. COULDN'T GET IT RIGHT
  10. PRINCESS CRUISE
  11. SACK FULL OF HEARTS
  12. THE SHINING PATH

Line up

  • Jerry Joseph: vocals
  • Dave Schools: bass
  • Eric McFadden: guitars
  • Danny Dziuk: keyboards
  • Wally Ingram: drums

Voto medio utenti

"La Sindrome Di Stoccolma promuove inverosimili rapporti affettivi tra le vittime di sequestro di persona ed i loro rapitori; sembra essere una risposta emotiva automatica, spesso inconscia, al trauma di diventare ostaggio,e coinvolge sia i sequestrati sia i sequestratori. Infatti consiste, generalmente, di tre fasi: sentimenti positivi degli ostaggi verso i loro sequestratori, sentimenti negativi degli ostaggi verso la polizia o altre autorità governative, e reciprocità di sentimenti positivi da parte dei sequestratori."
Questo il biglietto da visita della nuova band dell'ex bassista dei Widespread Panic Dave Schools e di Jerry Joseph, già voce dei Jackmormons.
Sin dal primo ascolto la somiglianza tra i nostri e Hootie And The Blowfish si palesa senza ombra di dubbio, soprattutto per quanto riguarda la voce e la ridottissima presenza delle tastiere. Le dodici tracks sembrano essere una il proseguimento ideale dell'altra, nessuna ballad e pochi assoli, e purtroppo poche variazioni nel modo di cantare di Joseph. Disseminati qua e là alcuni accenni spagnoleggianti("One In My Hand"), melodie country ("Tight"), atmosfere Reggae ("Sack Full Of Hearts" che inizia addirittura con uno pseudo-tango)e da aperitivo ("Purple Hearts"). In "Princess Cruise" la band finge persino di arrabbiarsi, si lancia in un tentativo di assolo di chitarra elettrica e percuote malamente i tamburi della batteria... (viene detta persino una parolaccia!). Purtroppo tali accenni e tentativi rimangono tali e non vengono mai sviluppati fino a tirare fuori qualcosa di veramente incisivo.
Non c'è dubbio che "Holy Happy Hour" sia ben suonato, ben cantato e ben prodotto, ma fino alla fine si ha la sensazione, mista alla speranza, che il meglio debba ancora arrivare; purtroppo dopo 12 interminabili brani l'ascoltatore deve arrendersi...
Una volta trovata la formula gli Stockholm non l'abbandonano più rendendo questa release piatta e senza sorprese, insomma monotona.
Potrebbe andar bene per un dopo pranzo domenicale quando si è troppo spossati per concentrarsi sulle note e qualcosa di Heavy potrebbe compromettere la digestione... ma dubito nella reciprocità di sentimenti positivi tra gli Stockholm Sindrome ed i loro ostaggi...
Recensione a cura di Elena Mascaro

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