Qualcuno si ricorda dei Mantra, una delle band di
rock duro più attrezzate e credibili dell’intero panorama musicale del Belpaese? Non “vedo”, purtroppo, tantissime “mani alzate”.
E allora, riproviamo … chi ha ben presente l’arte dei Badlands e dei Dirty White Boys, due gruppi capaci d’incarnare lo spirito autentico
dell’hard-blues negli anni novanta, entrambe (per motivi piuttosto diversi …) prematuramente consegnate agli annali della storia? Beh, qualche segnale positivo nel numero delle “adesioni” è apprezzabile, ma forse è “necessario” semplificare ulteriormente la questione.
Conoscete Led Zeppelin, Whitesnake, Bad Company e siete tra chi ha accolto con entusiasmo il loro prepotente “ritorno di popolarità” anche tra i musicisti emergenti e tra la parte di pubblico meno “navigata”?
Bene, ora che finalmente le risposte affermative sono copiose e capillari, possiamo cominciare a parlare dei
Silver Horses, questo nuovo appassionante progetto di
hard-rock blues che sicuramente conquisterà gli estimatori dei nomi evocati poc’anzi, a cui è necessario aggiungere quello dei Black Sabbath, da citare in realtà più per motivi “genealogici” che specificatamente artistici.
Accanto ai due favolosi Mantra-
boys Gianluca Galli e Andrea Castelli (un “riavvicinamento” che poteva far sperare gli
aficionados della prima ora … laddove la data di un loro ritorno, con Andrea "Ace" Bartolini in
line-up, sembra imminente, anche se Meille è impegnato con i Tygers Of Pan Tang e Firmati con i Black Rain Theory …) e al possente
drumming di Matteo Bonini troviamo, infatti, l’ugola pastosa e vibrante di
Sir. Tony Martin, il
vocalist con un celebre e virtuoso passato alla corte di Iommi ed evidentemente molto propenso a proficue collaborazioni anglo-italiche (
cfr. la brillante
partnership con Dario Mollo …).
“Silver horses” è, dunque, un lavoro completamente votato alla rivisitazione di quel suono
vintage che tanto successo tra riscuotendo già da un po’ di tempo, ma non sarebbe giusto né considerarlo una semplice operazione “nostalgica” e né scambiarlo per un’iniziativa eccessivamente “opportunistica”.
Qui c’è gente che la materia la conosce a fondo per cultura ed esperienza, che scongiura gli effetti negativi di un’emulazione acritica proprio perché il suo rapporto con le “radici” è solido e non improvvisato e attraverso tale requisito riesce a conferire alla sua prova il giusto equilibrio tra
devozione e
vocazione, ammantando il tutto da una febbrile forma di tensione emotiva, ancora in grado di fare la differenza.
Ed ecco che forse la band del compianto Ray Gillen (sarà anche perché “Silver horses” è pure il titolo di un pezzo del loro straordinario repertorio …) diventa, in particolare, una delle prime suggestioni d’ascolto, seguita a ruota dalla fugace esperienza Coverdale / Page, in qualche modo
sintesi tra l’arte immarcescibile degli
Zeps e l’ardore vocale di un memorabile discepolo di tanta magnificenza, con il quale l’impeccabile Martin condivide talune sfumature timbriche.
Inizio scoppiettante con “Rub it on me” edificato sul basso pulsante di Castelli e su una linea melodica sinuosa, a cui contribuisce un’ammaliante armonica, e la successiva “Run” non è da meno accendendo i sensi con un andamento esplicitamente Purple-
esque, eppure di enorme suggestione, mentre tocca a “Life and soul” e a “Diamond sky” coniare un tributo al
Martello degli Dei tanto lapalissiano quanto godibile e vitale, per il quale non si può che fremere ed esultare.
“Secret service” ha un
groove titanico e un
refrain attanagliante (brano eccellente, davvero …), “Suddenly lost” “strapazza” e seduce le corde dell’emozione romantica, anche grazie ad una prestazione canora da brividi e “Me” e “You”, in una sorta di
speculare forza espressiva fatta d’intrecci
funky /
blues e scorie
mediorientali, dimostrano come si può essere creativi e disinvolti pur attingendo dall’immenso patrimonio della “tradizione”.
La
title-track concede un’ulteriore superba interpretazione di avvolgente
blues elettrico (con l’ardente ritorno dell’armonica e un
chorus vagamente Kashmir-
esco …), “You're breaking my heart” irruvidisce e vivacizza la medesima sostanza e “Who's holding on to you” convalida una cinquantina di minuti di splendida musica con un sigillo elettro-acustico di gran classe, a delineare l’ennesimo momento da ricordare di un programma esente da comprovabili esclusioni.
Ottime esecuzioni e ispirate composizioni fanno dei Silver Horses un potenziale protagonista del settore, che non merita di essere sottovalutato soltanto perché, magari, non straordinariamente
cool … la presenza di Martin dovrebbe garantire un importante contributo in fatto di “attrattiva”, ma anche se la vostra “prima scelta” saranno
supergruppi dall’incontenibile
appeal (ogni riferimento ai Black Country Communion è puramente … voluto!), subito dopo investite tranquillamente i vostri sudati risparmi su questi irreprensibili
bluesbreakers … rendimento (sotto forma di puro godimento psicofisico) assolutamente garantito.