Le loro uscite più recenti non si erano rivelate particolarmente avvincenti, anzi… quindi l'incombenza di dover
affrontare il nuovo album dei
Paragon non è che suscitasse chissà quali entusiasmi.
Invece, la formazione tedesca si riscatta completamente con un lavoro potente e ben realizzato, tanto nel sound (grazie a Piet Sielck) quanto nel songwriting e nell'esecuzione, e che ha i suoi momenti migliori in occasione di pezzi come "Tornado" e "Secrecy" o nell'andamento
doomeggiante e sabbathiano di "Blood & Iron".
Ma è l'ormai
abusato paragone con i Grave Digger che li porta a sfiorare il rischio di una denuncia per contraffazione, come quando dalla tracklist fanno capolino "Iron Will" (pur con un pizzico degli U.D.O.), "Rising from the Black" o la power ballad "Demon's Lair", mentre in occasione di "Gods of Thunder" potrebbero essere i Manowar a rivolgersi alle autorità giudiziarie, oppure i Primal Fear quando poi tocca a "Blades of Hell" o "Dynasty".
Va comunque riconosciuto ai Paragon di essere riusciti ad infondere anche a queste canzoni una verve ed una convinzione che ultimamente sono sembrate mancare alle bands appena citate.
"Force of Destruction" ci presenta dei Paragon in grande spolvero, sui livelli di "The Dark Legacy" e di "Revenge", ma anche una formazione che, con l'abbandono di Martin Christian, oramai non ha più nelle proprie fila nessun membro originale, dato che Jan Bünning (rientrato dopo la parentesi di "Screenslaves") e lo stesso Andreas Babuschkin avevano esordito nei Paragon solo in occasione del loro secondo disco, "Final Command", nel 1988.
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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