Per molti anni, come argutamente rilevato dal “collega” Ariatti su queste stesse colonne, il nome dei
Danger Zone è stato associato ad una “ferita” importante nel cuore di tutti gli appassionati di
hard-melodico.
Un gruppo italiano assolutamente all’altezza dei campioni anglosassoni del genere (una circostanza abbastanza evidente fin dal primordiale mini “Victims of time” …) che, nonostante le difficoltà “oggettive” rappresentate da stile musicale e provenienza geografica, era riuscito ad arrivare ad un passo “dall’esplosione”, per poi vedere mortificati sforzi e capacità dalle visioni unilaterali del mercato discografico.
L’agognata pubblicazione di "Line of fire" a distanza di una ventina d’anni dalla sua effettiva realizzazione ha dimostrato al “mondo” lo spessore artistico dei bolognesi, compiacendo il popolo degli appassionati per un atto di “giustizia” finalmente implementato e al tempo stesso istigando il disappunto per quello che avrebbe “dovuto” essere e non è stato.
Messe da parte nostalgie e frustrazioni è ora giunto il momento di sostenere come merita, anche nella convulsa stagflazione contemporanea, il nuovo lavoro di questi pionieri del
class-metal made in Italy, scongiurando il rischio che stavolta sia una più “naturale” ma non meno “insidiosa” saturazione di uscite a limitare l’affermazione della
band.
“Undying” è uno di quegli album che non dovrebbero proprio mancare nelle collezioni degli estimatori di Dokken, Ratt, Hurricane, Autograph, Whitesnake (periodo “americano”) e Kiss, pregno di quella classe e di quella “durezza controllata” dei
riff e delle strutture armoniche che ha reso così appassionanti e coinvolgenti questi suoni
immarcescibili (titolo perfetto, dunque …).
Giacomo "Giga" Gigantelli si conferma un
vocalist extraordinaire, dotato di una laringe granulosa e stentorea (qualcosa tra Paul Stanley e Paul Shortino …), Roberto Priori è il “solito” distillatore inesauribile di note taglienti e sensibili mentre la sezione ritmica Palmieri / Galli (una pregevole
new entry …) sorregge e sollecita composizioni sempre avvincenti, marchiate dalle caratteristiche tipiche della “storia” del genere senza per questo risultare eccessivamente “datate”.
Del resto, com’è
noto, le emozioni non hanno una “scadenza” e per chi ama queste sonorità sarà veramente impossibile non fremere durante l’ascolto della magistrale forza espressiva della
title-track, rimanere impassibili di fronte al
grip urgente di “I to I” e “Half a chance” o ancora non essere inondati da quel benefico e virile languore romantico quando sono le splendide “Paralyzed” e “Falling up”a conquistare il proscenio.
Buone vibrazioni anche dall’
anthemica “Hottest fire”, “Desire” graffia e adesca, “Goin’ on” fa addirittura meglio combinando con arguzia Dokken e Whitesnake e “More heaven than hell” onora la sua denominazione accentuando la componente “paradisiaca” delle melodie, finendo per conquistare irrimediabilmente anche la categoria degli
AOR-sters, i quali apprezzeranno senza alcuna difficoltà pure la successiva “Stand up”, un gioiellino di enorme suggestione dai vaghi accenti Journey-
iani e la leggermente meno efficace “The dreaming”, seppur gratificata da una gradevole aura d’impronta Bad English.
Con l’ardore contagioso di “Love still finds a way”, non lontano dall’orientamento interpretativo dei migliori Ratt, si chiude un disco che consacra i Danger Zone assoluti protagonisti della scena melodica internazionale, sempre più competitiva, congestionata e “globalizzata”, in cui, per fortuna, la nazionalità sembra meno importante del talento. Ora sta a voi confermare tale
impegnativa affermazione, acquisendo immediatamente una copia di questo bellissimo “Undying” …
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