Non amo molto, a parte casi abbastanza particolari (effettiva irreperibilità dei lavori originali, fondati atti di “giustizia” consumati nei confronti di formazioni pesantemente sottovalutate …) i dischi “risuonati”.
Mi sembrano istintivamente operazioni “ambigue” e “forzate”, spesso messe in piedi solo per non rimanere troppo a lungo assenti dal convulso mercato discografico attuale, nella speranzosa attesa che la
dea della creatività decida di concedere (nuovamente) i suoi favori.
E poi diciamo la verità, almeno se si è sostenitori storici dell’artista di turno, il paragone con il passato è quasi sempre “perdente”, senza considerare che ogni prodotto artistico dovrebbe essere valutato all’interno del suo “tempo”, imperfezioni e limiti tecnici compresi.
Ora, tutte queste
pragmatiche considerazioni perdono quasi del tutto la loro validità quando l’oggetto del contendere è un disco come il magistrale esordio dei
Dark Quarterer, reinciso dalla formazione attuale degli
epic - prog -metal Gods di Piombino per celebrare il venticinquesimo compleanno di quel capolavoro.
I motivi di tale apparente
ritrattazione sono molteplici: innanzi tutto a pilotare l’iniziativa ci sono due (Gianni Nepi e Paolo “Nipa” Ninci) dei tre (Fulberto Serena, oggi negli Etrusgrave) artefici primigeni dell’impresa, a vigilare che lo “spirito” fondamentale non venga disatteso e snaturato, così come l’integrità della
band toscana non è argomento che possa essere minimamente messo in discussione, avvallato dalla sua inappuntabile storia, di cui ormai sono parte integrante anche i “nuovi” scintillanti innesti Francesco Sozzi e Francesco Longhi.
Inoltre, fermo restando il fascino irresistibile del microsolco “autoctono”, con la sua resa sonora “antica” e squilibrata, e confermando altresì la convinzione che l’aspetto “filologico” della questione non dovrebbe essere sottovalutato, è innegabile che i brani dell’albo escano rafforzati dal sagace e mai invasivo trattamento di “restauro” tecnico-esecutivo ad essi riservato, sottolineando altresì la loro straordinaria attualità (enfatizzata da un ottimo lavoro in fase di arrangiamento …), specificità tipica delle manifestazioni di autentica superiorità espressiva.
La nuova
luce che avvolge gli strepitosi sei capitoli di questo caposaldo del
metallo enfatico e suggestivo saprà conquistare anche i più scettici e smaliziati
fans dei Dark Quarterer, mentre agli eventuali neofiti della materia va il mio invito più sincero e convinto a colmare immediatamente l’ingiustificata lacuna tramite questa efficace “riverniciatura” di una sublime opera d’arte.
Non ci sono
iperboli nella definizione precedente e se
armonia,
intensità e
continuità sono, secondo un’interpretazione diffusa e autorevole, i criteri essenziali per accedere a tale ambita catalogazione, è sufficiente (ri)ascoltare l’atmosfera immaginifica di “Red hot gloves”, il magnetismo totalizzante di “Colossus of argil”, l’evocazione conturbante di “Gates of hell”, le articolate trame strumentali di “The ambush” e ancora la tensione palpabile e il “tiro” di “The entity” e lo sviluppo malioso e avvincente di “Dark Quarterer”, per rendersi conto di quanto essa sia assolutamente meritata.
Un prezioso
booklet, corredato dai testi, e un simpatico ed espansivo (propositi, aneddoti e memorie catturate durante le fasi di registrazione … tutto molto gradevole e spontaneo)
video-clip relativo al “making of”, aggiungono un ulteriore incentivo all’acquisto di un Cd da affiancare fieramente al suo “antenato” in vinile, là dove vengono altresì conservate gelosamente anche le eccellenze di Judas Priest, Manowar, May Blitz, Uriah Heep e Black Sabbath …