Nuovo album per il talentuoso guitar hero italiano Gabriele Bellini, che stavolta ha deciso di esagerare.
Sì, perché questo album rappresenta l’esaltazione estrema di quei tratti elettronici e sperimentali che già in passato facevano parte del repertorio dell’artista, ma che mai come questa volta erano stati sviscerati e utilizzati in lungo e in largo.

Un viaggio onirico, complesso, nervoso, difficilissimo da assimilare, in cui la chitarra spesso scompare di fronte al muro di synth che domina il lavoro di un musicista che ormai definire guitar hero appare riduttivo. Eppure quando le sei corde tornano a fare capolino in mezzo a tutto il contorno, allora si comprende quanto Bellini sia padrone assoluto dello strumento, assolutamente a livello di altri colleghi stranieri tanto idolatrati.

Ora, però, devo essere sincero: io un disco così non lo comprerei. Mi piace sentire sperimentazioni e ascoltare come chi è capace di fare musica (e qui siamo di fronte a un signore che è senza ombra di dubbio capace di farlo) cerchi nuove soluzioni e strade non ancora esplorate. Tuttavia, per quanto io possa essere aperto di mentalità, ammetto che quando arriviamo a un certo punto sono costretto a fermarmi. Esiste un confine oltre il quale non mi piace spingermi, oltre il quale si arriva in quell’area estrema che non mi ha mai attirato.

Quelli che sono i miei gusti personali, però, non devono inficiare la recensione di un disco maturo e di alto spessore artistico, per questo lascio un senza voto rimandando a voi la decisione: capolavoro o esperimento riuscito a metà? Io, come spero si sia intuito, propendo più verso la prima ipotesi, ma al cospetto di certe scelte stilistiche devo alzare bandiera bianca. Ci sono volte in cui un voto potrebbe fuorviare: quanto questo album meriti la vostra attenzione lo dovete dunque decidere da soli, anche perché questa volta un preascolto è più che obbligatorio.