Il nome di Dario Mollo inizia a farsi sentire nel lontano 1981 come appartenente alla line-up dei Crossbones. Nell'86, con la produzione di Kit Woolven (Thin Lizzy, Cradle Of Filth, UFO), incide un brano per la raccolta "Italian Rock Invasion" e negli anni successivi firma prestigiose collaborazioni con mostri sacri quali Glenn Hughes, Tony Martin (Black Sabbath) e Don Airey (Deep purple, Rainbow, Ozzy Osbourne) e produce band tra le quali Anathema e Lacuna Coil. Nel frattempo allestisce un suo studio di registrazione che è oggi usato da molte band.
L'avventura Voodoo Hill inizia nel 2000 con un self-titled album e una line up che vede Glenn Hughes alla voce, Dario Mollo alle chitarre, Roberto Gualdi alla batteria, Dario Patti alle tastiere e Max Matis al basso, e continua oggi con "Wild Seed Of Mother Earth" e una formazione che vede l'arrivo del nuovo bassista Fulvio Gaslini.
"Wild Seed" è più hard rispetto al debut e la produzione è nettamente migliorata, soprattutto per quanto riguarda le chitarre che vantano un suono meno metallico. Per il resto i Voodoo Hill rispettano la formula che aveva procurato al loro self-titled il titolo di migliore album Hard Rock dell'anno 2000.
L'opener "Make Believe" rappresenta un inizio piuttosto accattivante grazie alla indiscussa maestria di Mollo, ai cori orecchiabili e a un riff di chitarra che ricorda Van Halen mentre la successiva ed energica "Dying To Live" vede Hughes alternare fraseggi durissimi a momenti più soft.
"Still Evergreen" è un up-tempo in bilico tra passato e presente, l'assolo di chitarra è veloce e incisivo, in contrasto con i morbidi cori, ma il brano non offre purtroppo altre particolari attrattive. "Atmosphere" segue lo stile della precedente, l'intro di chitarra è ben strutturato ma il ritornello risulta debole.
La title track riserva finalmente uno spazio al basso all'interno dell'intro; il ritmo rallenta e il brano assume toni lugubri. Hughes si esibisce in acuti molto alti e, nel complesso, questa è una track ben riuscita, attraente.
"My Eyes Don't See It" e "Can't Stop Falling" mancano di mordente, A "Can't Stop" si può solo riconoscere il merito di aver messo in evidenza le tastiere per qualche fugace secondo. "Nothing Stays The Same" ospita un bel lavoro da parte del bassista Fulvio Gaslini e le tastiere tornano a farsi sentire. Le strofe sono melodiche mentre il chorus accelera lievemente. In "Soul Protector" Hughes ricorda Roland Lee Gift, vocalist dei Fine Young Cannibals; i cori sono quasi lirici e le sei corde abilmente distorte per l'assolo. "She Cast No Shadow" è candidata a finire presto nel dimenticatoio, mentre per "16 Guns" i toni si addolciscono e le tastiere ricompaiono. L'assolo di chitarra stacca dal resto del brano movimentandolo e gli anni '70 echeggiano tra le note.
Non ci sono dubbi sul fatto che "Wild Seed Of Mother Earth" sia un album che ospita dei grandi talenti, ma non è immune da errori di produzione che appiattiscono e mettono poco in risalto basso, batteria e tastiere.
In effetti questo avrebbe potuto avere il titolo di "Hughes-Mollo Prject" vista la propensione a dare risalto solo a voce e chitarra.
Si tratta di un album di hard rock classico, è vero, ma un tocco di innovazione non avrebbe guastato: nomi del genere avrebbero potuto scrivere brani di ben altro livello se non avessero scelto di abusare di una formula già ampiamente collaudata negli anni...anzi, nei secoli!
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