A volte valutare accuratamente una questione cui si tiene particolarmente, esaminarla a lungo sotto ogni aspetto con “distacco”, senza lasciarsi travolgere dall’emotività, è molto proficuo.
Beh, non vi dirò, per onestà “intellettuale”, che mi ci sono voluti otto mesi circa per vagliare
adeguatamente questo nuovo lavoro degli
Adramelch (il ritardo è essenzialmente dovuto ad una serie di problemi logistici, che non è il caso di affrontare in questa sede …), ma allo stesso tempo è corretto sottolineare la necessità di dedicare parecchio tempo all’ascolto di “Lights from oblivion” per comprenderne fino in fondo le scintillanti peculiarità.
Da “vecchio”
fan del gruppo milanese, avvezzo al suo straordinario temperamento, ero abbastanza “preparato” ad un’ulteriore evoluzione artistica e tuttavia non nascondo che al primo “contatto”, questo terzo capitolo della discografia degli Adramelch, pur affascinandomi, aveva destato in me pure qualche piccola perplessità.
La voce di Ballerio era sempre un concentrato di carisma e tecnica, le composizioni erano volubili e intense, eppure questo incremento contemporaneo della componente
progressiva e della porzione
hard-rock (e non sembri un ossimoro …) nel suono non riusciva a sobillare del tutto quell’entusiasmo irrefrenabile che invece aveva invaso i miei sensi quando sottoposti al glorioso passato della
band.
In realtà, già ai tempi di “Irae melanox” la fase “d’innamoramento” era stata graduale e ben lontana dal concetto di “coup de foudre” e sebbene fossi convinto di aver ormai stabilito un solido legame con i nostri, avendone imparato a conoscere la tipica emancipazione creativa, trovarmi a rivivere un’analoga “crescita affettiva” è stato tanto sorprendente quanto avvincente.
Insomma, c’è voluto un po’ per veder diradare le vaporose foschie del dubbio, sconfitte dalla radiosa illuminazione dell’esaltazione, e quando è successo l’effetto è stato ancora più prepotente e totalizzante dal punto di vista emotivo.
A tutti quelli (pochi, spero …) che ancora non possedessero “Lights from oblivion”, perché magari dissuasi all’investimento economico da un ascolto fugace e poco approfondito (in un panorama musicale ricchissimo di offerta …), va, dunque, il mio consiglio di sviscerare meglio questi scintillanti solchi digitali, scoprendo così la
titanica forza espressiva che si “nasconde” tra i loro meandri.
Qualche indicazione dalla
track-list … “Lights”, “Beyond a lifetime”, “Pain after pain” e l’epica “We march, we fail” sono tipici esempi di brani che germogliano rigogliosi con la cura e l’attenzione, “Aelegia”, “Islands of madness” e "Tides of my soul” (
special guest Alex Mereu degli Holy Martyr) appassionano con una tensione emotiva degna dei migliori Queensryche e dei Fates Warning dei
nineties (il che non significa tentare di emularli …), “Truth lies” evoca altresì scorie d’ispirazione Zeppelin-
iana (immerse in un contesto
prog-metal), mentre nella deliziosa “Wonderful magician” le medesime suggestioni s’imbevono di squarci liquidi di nobile marca Pink Floyd.
E ancora … “Chiaroscuro” è uno strumentale intrigante e disinvolto, “King (of the rain of tomorrow) ” svela fascinosi barocchismi affini a Kansas e Jethro Tull e “Oblivion” chiude l’albo in forma di
outro con il
pathos tangibile di una conturbante linea melodica dagli accenti mediorientali, su cui si stagliano i vocalizzi del sempre mirabile Vittorio Ballerio.
La tedesca Pure Prog Records (divisione
specialistica della Pure Steel) ha creduto in loro, consentendo agli Adramelch di ingrossare le fila dei musicisti italiani “d’esportazione” (non so se essere più contento, per un riconoscimento internazionale largamente meritato, o più deluso, per una discografia tricolore incapace di tutelare e sponsorizzare adeguatamente le sue eccellenze …) … ora tocca a voi superare il diffuso senso contemporaneo del “tutto & subito” e concedere un pochino del vostro prezioso “tempo di qualità” a questo disco … ne sarete ripagati in maniera ampia e gratificante.