Tra reunion assortite e nuovi
virgulti che omaggiano un
glorioso passato, il Metal degli Eighties stà vivendo una seconda giovinezza.
Questi
Invader (beh... di gruppi che portano questo nome ce ne sono diversi in circolazione) si sono formati a Seattle agli inizi degli anni '80, ma si erano poi limitati a far uscire un demotape e successivamente un disco autoprodotto ed autointitolato, sfogo delle loro pulsazioni metalliche, a spaziare da Omen e Steel Assassin sino a Fates Warning e Mercyful Fate.
Lo stesso album che ora la Pure Underground Records ha ristampato in occasione del ritorno in attività del gruppo - dopo un lunghissimo letargo - nella formazione originale.
"Invader", inevitabilmente, mostra sia i segni dell'inesorabile trascorrere del tempo sia qualche limite proprio, per una registrazione non eccelsa (seppur il disco sia stato rimasterizzato) e qualche pecca dello stesso gruppo, con il cantato sguaiato (vedi "Infinite Quest" o "Legends") di Gary Cobb, anche se poi ha dei bei momenti nelle rallentate e teatrali "Victims of Terror" o "Imaginary World", dove scopriamo soluzioni con qualcosa dei Cirith Ungol e che ricorrono spesso nel loro songwriting, mentre convincono meno l'incedere
anthemico di "The Fool's Masquerade" e quello
speedy di "The Uncontrollable Fire" o l'approccio, che vorrebbe evocativo ed epico, della conclusiva e già citata "Legends".
Una chance non si nega a nessuno, e magari gli Invader di oggi spazzeranno via tutte le nubi che ancora aleggiano sul loro ormai datato album d'esordio, che comunque resta l'onesta testimonianza di una scena che non sempre ha raccolto quanto meritato.
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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