C'è aria di cambiamento nei
Long Distance Calling. Ad Aprile dell'anno scorso Reimut von Bonn, membro fondatore, nonché colui che si occupava delle parti elettroniche nella band, ha lasciato. In realtà già nell'omonimo terzo album del 2011 si sentiva che il sound stava cambiando, limitando le influenze più dark per un'accentuazione del lato rock e chitarristico. Uscito Von Bonn, altra novità è stata l'entrata di Martin “Marsen” Fischer (Pigeon Toe, ex-Fear My Thoughts), in veste principalmente di singer e poi come tastierista. Finora, salvo collaborazioni con artisti che hanno cantato un brano su ognuno dei precedenti lavori, come John Bush e Jonas Renkse, la musica dei Long Distance Calling è sempre stata solo strumentale. Su
The Flood Inside, invece, troviamo ben cinque brani cantati su otto. Lo stile si è ulteriormente spostato verso il rock, alleggerendo le strutture e rendendole meno complesse e più lineari; il punto di riferimento più immediato restano sempre i Mogwai (
Nucleus) ma un pezzo come
Inside the Flood richiama Screaming Trees e Alice in Chains.
Ductus e
Waves, post rock ai limiti con l'elettronica di gruppi come Bark Psychosis, sembrano riportarci indietro ai primi due album.
Welcome Changes vede alla voce nientemeno che Vincent Cavanagh degli Anathema ed ha uno sound che li richiama parecchio.
Breaker ha uno stile molto prog, vicino ai Porcupine Tree. La musica resta estremamente atmosferica ed emozionale, con momenti più intimisti che si alternano ad esplosioni chitarristiche; le sensazioni che ispira sono sempre malinconiche, riflessive, a tratti cupe. Non si può fare a meno di restare mesmerizzati dalle strutture cangianti che i musicisti vanno disegnando passo passo. Con i Long Distance Calling tutto è sempre in divenire, quindi è inutile cercare di prevedere come potrebbero evolvere o meno in futuro. Ascoltate ed amate questo nuovo gioiello nella loro discografia.
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