Sinceramente non sono in grado di prevedere quanti dei lettori di Metal.it saranno interessati al lavoro di
Jerry Douglas o conoscano nei dettagli la sua prestigiosa “storia”, fatta di un numero sconfinato di collaborazioni come musicista e produttore e di una miriade di premi vinti.
Colui che è stato definito "
the Muhammad Ali of the Dobro" da James Taylor e "
my favorite musician" da John Fogerty, realizza oggi questo squisito “Traveler”, un disco che consiglio, confidando nella sua curiosità da insaziabile e onnivoro
musicofilo, anche a chi non fosse particolarmente avvezzo alla parabola artistica del nostro, a patto che non disdegni il
blues, il
folk, il
country e il
jazz, qui illustrati come s’intraprendesse proprio un “viaggio” (titolo azzeccato, quindi …) nei suoni della tradizione statunitense, con tutto il loro carico di passione, intimità e disinvolta fascinazione.
La presenza di ospiti “eccellenti” (Eric Clapton, Paul Simon, Mumford & Sons, Keb' Mo', Marc Cohn e Alison Krauss, sono solo alcuni degli “
amici” che forniscono il loro “
piccolo aiuto” a Douglas …) contribuisce a creare questo clima da grande
happening in cui è piuttosto facile essere coinvolti, vedendo scorrere insieme alle note, le suggestive immagini più
rootsy degli
States, quelle che abbiamo imparato a conoscere e ammirare anche solo tramite le molteplici pellicole che le hanno celebrate.
Tecnicamente impeccabile in ogni anfratto, “Traveler”, vi prenderà per mano e vi accompagnerà nella polvere del profondo sud, nei suoi locali fumosi, nelle distese sconfinate della Frontiera e delle campagne
yankee a suon di classici e di brani originali, il tutto affrontato con quella sensibilità e quella autenticità che distinguono un artista vero da un onesto mestierante.
In mezzo a tanto fervore espressivo, si segnalano la riproposizione di “The boxer” di Simon & Garfunkel, che qui diventa, con il
placet dello stesso Paul Simon (e il supporto dei Mumford & Sons) un vibrante
psych-soul dalle sfumature
bluegrass, la toccante “Frozen fields” (con una Alison Krauss sempre impeccabile) e una serie di scintillanti momenti strumentali, "So here we are", “Duke and cookie”, la delizia celtica "Gone to fortingall" e “American tune / Spain” (una stuzzicante
gilda Simon / Corea, tra USA in versione vagamente barocca e Andalusia), in grado di sollecitare anche le eventuali fantasie “specialistiche” dell’astante.
Le favolose rudezze del
rock e del
metal vanno cercate altrove, ma se è l’emozione che perseguite, immersa in un clima avvolgente, spigliato, caloroso e poetico, Jerry Douglas non vi deluderà.
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