Eric Martin dei Mr.Big ce l'aveva detto al termine della sua intervista in quel di Bologna: "Check TANK, T-A-N-K". Detto, fatto. A distanza di più di un anno mi trovo tra le mani l'ultimo lavoro della band britannica, "War Nation", seguito di "War Machine" del 2010. Aveva torto o ragione il buon Eric a consigliarci una band che comunque ha fatto la storia (nelle retrovie) della NWOBHM?
A giudicare da
"War Nation" la risposta è decisamente si, con riserva.
Cioè chiariamoci subito, non è un disco di quelli da far sobbalzare dalla sedia o leccare i baffi da qui alla prossima Champions dell'Inter (quindi all'infinito), però la nuova fatica dei
Tank, la seconda con
Doogie White dietro al microfono, è un album di puro e crudo heavy metal, o meglio, di quella New Wave of British Heavy Metal che vede negli Iron Maiden, nei Motorhead, nei Saxon e nei Judas Priest, tra gli altri, i suoi baluardi più duraturi ma che non deve dimenticare l'underground, del quale i Tank sono forse gli esponenti più eminenti.
Dimenticati loro malgrado dalle masse, i britannici hanno continuato a sfornare album con una continuità importante, fatta esclusione per il periodo di iato tra il 1989 e il 1997, aggiornando il proprio stile, adattandolo al passare del tempo e modificando spesso e (mal)volentieri la loro formazione.
Con l'arrivo di Doogie White però il cambio ha decisamente giovato: il vocalist scozzese infatti, che ricordiamolo ha cantato anche con Malmsteen e con Ritchie Blackmore nei suoi Rainbow, è padrone di una voce splendida, dai picchi altissimi e che si adatta alla perfezione allo stile dei Tank, esaltandone anzi alcune scelte stilistiche.
L'album comunque scorre in maniera decisamente piacevole, avvicinandosi si allo stile proprio della NWOBHM ma incorporando i sopracitati elementi di modernità che non guastano, rendendo quindi fresco un album potenzialmente piatto e estremamente derivativo, quale potrebbe suonare ad un orecchio distratto.
C'è da dire però che le canzoni alla lunga possono stancare, non tanto per la qualità delle singole composizioni, decisamente buona, quanto per la sensazione globale di similitudine che le contraddistingue, fatta forse eccezione per "
Wings of Heaven" e "
Grace of God", forse le due tracce più riuscite del disco. E' un album, insomma, che va preso a piccoli sorsi, sicuramente non è uno di quei dischi che passano le ore filate nello stereo.
Qui non si discute affatto della qualità tecnica di una band che nel suo ha scritto un pezzettino di storia dell'Heavy Metal, sarebbe sciocco. Si discute un buon album che avrebbe potuto essere buonissimo se si fosse presa la decisione di osare ancora un po' di più di quello che si è già fatto. E mezzo voto in più per la prestazione eccelsa di Doogie White. Quindi su, all'opera, non lasciate che il consiglio di Eric Martin vada perduto!
Quoth the Raven, Nevermore..