Sono sufficienti una conoscenza sommaria del variopinto mondo del
rock, la lettura del didascalico
monicker del gruppo e magari un’occhiata alla copertina e alla
tracklist del suo primo lavoro eponimo per comprendere immediatamente a chi è precipuamente indirizzato questo scottante frammento circolare di policarbonato e alluminio … a chi ama il
blues elettrico e pesante, il
soul e il
R n’ B, a chi rimpiange i grandi
power-trio del passato e riconosce a questi favolosi musicisti, grazie alla loro “storia”, la possibilità di sostenere il peso di un’eredità che va dai Cream, non a caso omaggiati esplicitamente nel programma del disco, fino a Beck, Bogert & Appice, passando per The Jimi Hendrix Experience e per la Band of Gypsys (visto anche il “colore” dei nostri …).
A quei sagaci
musicofili che conoscono bene la laringe pastosa e densa di
Doug Pinnick per i suoi capolavori con i King’s X (ma anche per un’innata predisposizione alla collaborazione proficua, vedasi Supershine, Poundhound e The Mob, per referenze …), che sono consapevoli di come
Eric Gales possa essere
davvero accreditato tra i pochi plausibili epigoni del mancino di Seattle e che sono
talmente preparati da sapere che Thomas Pridgen è un funambolico batterista giunto agli onori delle cronache con i The Mars Volta, non resta che impossessarsi immediatamente di una copia di “Pinnick Gales Pridgen”, da consigliare anche a chi si fosse eventualmente avvicinato al genere da poco tempo e, perché no, pure agli esteti della tecnica strumentale, qui profusa senza soluzione di continuità assieme ad un’imprescindibile dotazione emotiva.
Difficile trovare qualche difetto “vero” a questa raccolta, pregna di una carica sensoriale intensa e profonda, in cui le possibilità ritmiche, melodiche e passionali di strumenti e voci (perfetto l’impasto canoro Pinnick / Gales) vengono scandagliate attraverso le peculiarità di un suono “antico”, ma assolutamente immarcescibile, proprio come i valori veramente importanti dell’esistenza umana.
Ecco, forse, si sarebbe potuto mantenere un profilo maggiormente “essenziale”, asciugando leggermente
performance esecutive talvolta vagamente autoreferenziali (ma conosco qualcuno che mi “ucciderebbe” per questa pur minima critica …), e tuttavia anche la
jam più prolungata, tipica del settore peraltro, qui non dà mai l’impressione di una vistosa diluizione, mantenendo costantemente una dose adeguata di tangibile concretezza espressiva.
Per quanto riguarda le immancabili “citazioni di merito”, impossibile non segnalare la potente
opener “Collateral damage”, il
funky muscoloso e disinvolto "Angels and aliens” (che gratifico con la palma di mio personale
best in class …), il
prog-soul “Hang on, big brother” e ancora l’ardore King’s X-
iano di “Wishing well”, le scosse telluriche di “Lascivious” e il tumultuoso crescendo catartico di “Black jeans” come i numerosi momenti prioritari dell’opera, raccomandando, altresì, la piuttosto “impressionante” “Been so high (the only place to go is down)” a tutti quelli che non si “spaventano” di fronte a quasi undici minuti di sofferto e sanguigno
blues-rock ad elevato coefficiente virtuosistico.
Ancora due parole sul
remake del classico “Sunshine of your love” … interpretato con un certo “rispetto”, suonato con un’energia e un trasporto inusitati, credo soddisferà anche il più esigente tra i tanti
fans della leggendaria
Crema britannica.
Ottimamente prodotto da Mike Varney, il Cd dimostra che il “fuoco” di certa musica arderà in eterno, a dispetto delle mode e delle evoluzioni tecnologiche, almeno finché ci sarà gente come questa che dai
Grandi ha imparato il segreto del
groove viscerale e del
feeling autentico, e lo diffonde nel mondo come il messaggio di un
culto finalmente privo d’incomprensibili pastoie.