Il nome
Devourment evoca in me ricordi di tantissimi anni fa, anni nei quali praticamente, oltre al nu metal, ascoltavo praticamente solo Brutal Death Metal e mi divertivo a scoprire le bands più sconosciute e brutali. Mi sono sempre lasciato affascinare dalla voce perché secondo me il brutal parte dalla voce, la stalagmite che deve necessariamente emergere sul tappeto sonoro caotico e violento creato dal resto della band. Se non vai abbastanza giù con la voce, “deepthroat”, mi spiace, cambia genere.
Non ricordo come scoprii la band, sarà stato come al solito sulle misconosciute webzine sudamericane che popolavano il web allora, e molte delle band che mettevano le loro brutte facce in giro sono scomparse, però ricordo in maniera vivida il dibattito tra i brutallers di tutto il mondo, cui partecipavo, sulla voce più brutale che ci fosse in circolazione. E parliamo di voce naturale, senza filtri. Tre erano i nomi,
Matti Way (
Disgorge,
Cinerary,
Liturgy),
Jamie Bailey (
Brodequin) e
Ruben Rosas dei
Devourment.
Chiariamo subito una cosa,
Ruben Rosas era (e per me lo è ancora) il vero cantante dei
Devourment, sebbene da un bel pò si sia scambiato lo strumento con
Mike Majewski, andando a suonare il basso.
All’epoca del fenomenale debutto “
Molesting The Decapitated” (1999) era lui la voce più brutale del circo e non è un caso che quel disco sia rimasto ineguagliato nella discografia della band, nonostante i buonissimi episodi successivi. Poi nel 2001 fu arrestato e mandò tutto in malora.
Ho fatto questa lunga premessa perché il presente “
Conceived In Sewage”, pur presentando i
Devourment in buona forma, mostra comunque la corda di una band che era seminale circa tre lustri fa e che adesso, vuoi anche per l’esordio su
Relapse, sembra essersi un pelo ammorbidita.
Prendete con le molle però quando uso il termine “ammorbidita”. Non sto dicendo che questo disco non sia brutale e ben suonato, ma gli manca quella genuina ‘ignoranza’ degli esordi, dove la musica era molto più brutale e downtuned, molto più intricata, intensa e veloce, e, come già detto, con un cantante che tirava do di petto in growling facendoli passare per il tritacarne posto nella propria trachea.
Di buono il nuovo disco ha dei passaggi e dei rallentamenti paludosi (“
Carved Into Ecstasy”) che fanno balzare il cuore in gola, anche grazie alla produzione di
Erik Rutan (sarà stato un bene o un male?), ma è solo nel finale della title-track che è possibile risentire echi degli esordi.
Non voglio fare il nostalgico a tutti i costi, ma nel Brutal Death Metal, in questo tipo di brutal, ai fan interessa la coerenza e la genuinità del pestare sempre più duro e selvaggio, e poco importa se i dischi suonano tutti uguali, siete i
Devourment non
Devin Townsend.
Disco buono ma nulla più.
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